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Pink Floyd’s The Wall and its consequences… PDF Stampa E-mail
Scritto da Dario Genovese   
Venerdì 28 Maggio 2010 08:56

 

Morte del padre in guerraà Madre Iperprotettivaà Incomprensioni con la moglieà Incomunicabilità con la genteà Costruzione del muroà Introspezioneà Abbattimento del muro.
Credo sia questo il modo migliore per introdurvi il capolavoro del Gruppo per eccellenza, quello con la G maiuscola. Sto parlando naturalmente di “The Wall”, il concept album più conosciuto, venduto ed ammirato dal mondo intero! È facile intuire il gruppo in questione: parliamo dei Pink Floyd, il complesso rivoluzionario nato negli anni ’70 che ha creato, tra le tante cose, un nuovo genere musicale, il progressive rock.
In quest’album il gruppo britannico si fa conoscere in una veste autobiografica, priva di quelle tastiere onnipresenti negli album precedenti, ma ricca di dettagli lirici ed orchestrali – particolare, questo, voluto dal bassista Roger Waters, leader e autore di molti testi in “The Wall” – e caratterizzata da una trama fitta ed intricata, difficilmente eseguibile utilizzando la musica come unico mezzo di comunicazione. Il film, che verrà prodotto sulla base del concept album, sarà realizzato tre anni dopo e avrà come unica sequenza audio la track list dell’album (evitando, in tal modo, qualsiasi tipo di dialogo).
Evidenti risultano le connotazioni autobiografiche (episodi come la morte del padre del protagonista e le pressioni della madre su quest’ultimo sono effettivamente parte della storia di uno dei componenti della band, Syd Barrett, ex leader dei Pink Floyd) per dare ampio spazio alla condizione di Pink – il soggetto principale dell’album – dal punto di vista economico, psicologico e soprattutto relazionale. Prima di affrontare quest’argomento, la progressive band parla della situazione cui erano sottoposti gli alunni ogni giorno: un’educazione ferrea che porterà gli studenti ad una ribellione epocale. Celeberrimo è il verso di “Another Brick in the Wall – Part 2”, che recita “We don’t need no education”, in segno di completo dissenso nei confronti dell’educazione scolastica, paragonabile al comportamento adottato con gli schiavi. Dalle vicende adolescenziali, le musiche ci trasportano al Pink trentenne. Raggiunte ormai le vette del successo, la rock star subisce durissimi colpi che fanno vacillare e crollare tutto quello che aveva costruito nonostante la situazione a lui favorevole: il continuo tradimento da parte della moglie a causa delle loro incomprensioni porterà Pink a costruirsi un muro attorno a sé, un muro immaginario che divide lui dal resto del mondo. Pietra dopo pietra, delusione dopo delusione, il muro va sempre più erigendosi, e, inconsapevolmente, Pink cerca tante e più volte qualcuno che possa ascoltarlo, che possa alleviare il suo dolore soltanto con un piccolo consiglio. Cerca invano: oramai il muro è alto e spesso, e lui non può oltrepassarlo né vuole farlo, perché ha subito troppi inganni, che lo hanno privato della gioia di una vita in cui siano assenti quei vuoti affettivi di cui è stato vittima. La rock star continua a soffrire; prova a cambiare identità, cerca di svagarsi, ma il pensiero è fisso verso sua moglie. Pink continua a scavare nel suo passato, cerca di dialogare con il suo Io ragazzo, ma si accorge che non può avvenire alcun dialogo tra i due perché il muro che ha eretto lo ha diviso persino da se stesso. Stanco di questa situazione senza via d’uscita, Pink cerca di farla finita drogandosi sino ad arrivare all’overdose. Ed è proprio a questo punto che avviene una svolta tutt’altro che negativa: trovato in stato di morte imminente dal suo produttore discografico, viene salvato con l’unico scopo di farlo salire sul palco. Pink delira, non è più cosciente, in lui avviene un cambiamento radicale: la parte più meschina  prende il sopravvento; Pink crede di essere un dittatore a capo di un governo che esegue pienamente qualsiasi ordine venga dato dalla propria guida. Ma questa illusione durerà poco: Pink cadrà nell’oblio, si chiuderà completamente in se stesso e romperà il muro soltanto perché costretto dalla sua stessa coscienza che gli ordinerà di smetterla.
Certo, potrebbe sembrare una storia davvero pazzesca, ma, se solo ci pensate, essa racconta una parte di noi. È frequente in noi adolescenti questa chiusura in noi stessi, che spesso ci porta ad una depressione tale da non confidare a nessuno i nostri problemi, le nostre inquietudini. Un consiglio? Cercare di non arrivare a questi eccessi e superare le difficoltà con l’aiuto di chi ci sta accanto.
Dario Genovese IV H

 

Ultimo aggiornamento Sabato 05 Giugno 2010 10:08
 
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