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LA TIGRE BLU DELL’EUFRATE

di Laurent Gaudè

regia di Beno Mazzone

con Luca Iervolino

musiche A. Guida, luci G. Circo

Questo testo di Laurent Gaudé , pubblicato in Francia nel 2002, è un monologo epico che coglie le ultime ore di vita di Alessandro Magno, in un faccia a faccia estremo con il dio dei Morti, di cui si appresta a varcare il Regno, con lo stesso desiderio insaziabile di conquista che altri non è che il desiderio di conoscere e “sentire” che ha dominato tutta la sua esistenza.

Alessandro il macedone, il grande, è uno dei personaggi più famosi di tutta l’antichità. Gli vengono attribuiti, oltre alle imprese militari e politiche, prodigi e miracoli.

Per una serie di ragioni e circostanze Alessandro riuscì in un tempo molto breve a compiere ciò che nessun greco del suo tempo avrebbe nemmeno immaginato: la conquista di tutta la parte orientale del mondo conosciuto.

Divenne re di Macedonia che non aveva ancora vent’anni, capo della lega di tutti gli stati greci, re dell’Asia Minore, faraone d’Egitto, gran Re dell’impero persiano e rajah della parte nord occidentale dell’India. Sotto il suo scettro le più grandi città del mondo, da Atene a Menfi, da Babilonia a Persepoli.

La sua prematura morte contribuì certo ad alimentare il suo mito.

In questo lavoro teatrale l’ultima battaglia Alessandro la ingaggia con la Morte:debole nel suo corpo d'uomo prossimo alla morte, ma ugualmente potente nella sua sete di giungere al limite di ciò che la vita può offrirgli, solo, si rivolge alla morte con tutte le sue capacità di stratega, di volta in volta provocatore e seduttore, allo scopo di conquistarla come ha fatto con popoli e territori. Assalito dalle visioni delle sue sanguinose imprese, il grande condottiero si rivela un uomo fragile, ferito dal tormento di un impossibile desiderio di sopravvivenza. La tigre blu dell’Eufrate, animale dal manto di pietre preziose, è la sua ossessione, un miraggio da inseguire per tutta la vita, la ragione di essere, il senso del mai compiuto. Laurent Gaudé costruisce così una parabola in cui gli elementi storici attraverso il racconto si trasfigurano in mito.

Nella messa in scena di Beno Mazzone pochissimi elementi essenziali: un corpo, una voce, uno spazio scenico. Tutto il necessario per creare, come ci insegna Peter Brook, la comunicazione teatrale. Unica concessione alla spettacolarità le luci di taglio che ben accarezzano il corpo del protagonista mettendo in risalto la fisicità di un eroe colto nel momento della debolezza estrema. Una interpretazione sobria quella di Luca Iervolino, in cui l’assenza di orpelli, la linearità del gesto espressivo, la lentezza del respiro contribuiscono a creare un’atmosfera quasi sacra che ci riporta all’origine rituale del Teatro. Nessuna descrizione , quindi, ma l’evocazione pura che stimola la visualizzazione immaginativa dello spettatore a creare da sé il mondo di cui Alessandro ci parla e d’un tratto, magicamente, i frammenti di specchio che costituiscono l’unico elemento scenografico diventano tutto ciò che viene evocato dalla musica della parola respirata: ora giaciglio, ora terra bruciata, ora sabbia, ora pietra, ora acqua…

Allo spettatore non resta che tacere, religiosamente, e gestire l’impatto emotivo fortissimo che questo testo, questa messa in scena, questa interpretazione trasmettono. Ed è subito…teatro.

Annamaria Guzzio