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Per i docenti

AIACE\SOFOCLE

di Manlio Marinelli dall’Aiace di Sofocle

Sofocle mette in scena l'impotenza dell'uomo di fronte ai cambiamenti profondi del suo mondo, esaltando nello stesso tempo la possibilità di un rifiuto tanto radicale e denso di conseguenze come quello che Aiace compie uccidendosi. In questa, come in altre tragedie sofoclee, il protagonista in un momento decisivo della vicenda si trova innanzi ad una sorta di "bivio", ovvero a due decisioni diametralmente opposte, di cui una generalmente eroica (che viene ovviamente prediletta dall'eroe, ma che lo porta poi ad una brutta fine) e l'altra (propugnata da un personaggio molto vicino al protagonista che in genere tenta di dissuadere dal compiere la sua scelta) conforme al modo comune di pensare della gente; in questo caso le due scelte cui si trova di fronte Aiace sono quella eroica del suicidio e quella aneroica di non suicidarsi per riottenere la τιμή, avanzata dalla compagna Tecmessa.

Sofocle esprime un radicale pessimismo sulla condizione umana, di fronte alla quale assumono una valenza liberatoria le azioni dei suoi eroi, infelici ed incapaci di mediazione. L'infelicità non assume un significato problematico, ma viene rappresentata come inevitabile. L'argomento poetico è piuttosto il percorso interno all'animo umano, le conseguenze dell'attrito tra la realtà e l'ideale mitico. Ciò che rimane all'uomo, la sua unica libertà, è la sua resistenza, la sua determinazione a ridiventare padrone del proprio destino nell'unico modo possibile: il gesto tragico.

personaggi

Aiace*

Tecmessa

Ulisse

Atena

Marinaio**

Teucro*

Agamennone**

SCENA I

L'inganno della dea - ti sento, Atena, ma non ti vedo

(In scena Ulisse avanza circospetto." Appare" Atena. Il gioco di questa scena è il fatto che Ulisse non vede mai Atena. Non è un problema di filologia ma di drammaturgia. La potenza di tutto ciò che accade è data dal fatto che Atena non si palesa e dunque il gioco scenico è lavorare il rapporto di due personaggi, di due attori, che giocano a rimpiattino l'uno con l'altro. Non è il drammaturgo a spiegare come si svolge il gioco, ma è il rapporto tra gli attori, la parola e lo spazio. A comandare il gioco è evidentemente Atena

ATENA (vv. 1-13)

Figlio di Laerte, sempre ti ho osservato a caccia di un tranello contro i nemici, e ora ti vedo vicino alla tenda di Aiace, qui, all'estremità del campo, ti vedo fiutare le tracce e valutare le sue impronte fresche, per vedere se è dentro o no. Il passo, come di una cagna spartana che fiuta bene, ti porta dritto alla meta. Infatti, in questo momento quell'uomo è dentro, la testa fradicia di sudore e le mani assassine. E non ti serve a niente spiare ancora dietro quella porta, piuttosto di' perché ti sei dato questa pena, così da imparare da colei che sa.

ULISSE (14-35)

Atena che mi sussurri all'orecchio, per me la più amata delle dee, poiché io ti ho conosciuto, anche se ti nascondi ai miei occhi, ugualmente sento la voce, che suona come una tromba d'oro, e la mente ti fa sua. Hai capito bene che vado verso questo nemico, Aiace, che porta lo scudo. Infatti quello cerco da un po', nessun altro. Questa notte ha compiuto un'azione incredibile contro di noi, se è stato lui. Non sappiamo niente di preciso ma vaghiamo nell'oscurità. E io, di mia volontà, mi sono caricato sulle spalle questa fatica. Abbiamo appena trovato tutte le greggi uccise e massacrate e pure i guardiani ed è stata una mano di uomo. Tutti accusano lui. E un testimone, che l'ha visto da solo che avanzava a gran salti per la pianura, con la spada appena bagnata di sangue, me lo dice e mi informò e io subito mi butto sulle tracce, e certe le riconosco, altre non le capisco e non so che fare. Sei giunta al momento opportuno. Infatti in futuro e in passato sei tu la mia guida.

ATENA (36-37)

Lo so, Ulisse, e proprio ora sono venuta preoccupata per la tua caccia.

ULISSE

Mia Signora, sto facendo giusto?

ATENA

Sì, è stato lui.

ULISSE

E per quale follia l'ha fatto?

ATENA

Era furioso per le armi di Achille.

ULISSE

E perché se l'è presa con le greggi?

ATENA

Perché pensava di sporcare la mano con il sangue della vostra mattanza.

ULISSE

Progettava questo per gli Argivi?

ATENA

E se non me ne fossi occupata io, l'avrebbe fatto.

ULISSE

Con quale coraggio? Che cosa gli è saltato in testa?

ATENA

Di notte, come un traditore, solo balza su di voi.

ULISSE

Ed è arrivato alla meta?

ATENA

Era vicino le doppie porte dei generali.

ULISSE

E per quale motivo fermò la mano che bramava la strage?

ATENA (51-72)

Io lo trattengo, facendogli ballare davanti agli occhi immagini false, di una gioia funesta, e lo conduco pure verso le greggi e verso il bottino non ancora diviso, sorvegliato dai mandriani. Ed essendosi gettato nel mezzo faceva una strage di greggi, uccidendo di qua e di là, e credeva di uccidere i due Atridi tenendoli lui tra le mani e si gettava ora su uno ora sull'altro dei generali. E io incitavo quell'uomo che andava su e giù, posseduto dai morbi della follia, lo lanciavo verso i recinti sciagurati. E dopo, nell'intervallo di questa mattanza, legando con legacci tra le bestie chi aveva ancora vita, tra le urla, si porta a casa tutto il gregge, come fossero uomini, non come se avesse una preda di bei bestioni cornuti. E ora in casa le tortura, legate insieme. La follia la mostrerò ai tuoi occhi, così che tu, che l'hai visto, lo vada gridando a tutti gli Argivi. Affronta con coraggio quest'uomo e non temere che ti faccia del male. Io infatti i raggi dei suoi occhi li respingerò: ti guarderà senza vederti. (Chiama, sguaiata, ironica, cattiva e imperiosa Aiace). Ehi tu! Dico a te: vieni fuori, tu che leghi dritte dietro la schiena le mani dei nemici! Dico Aiace, vieni fuori, qui davanti.

ULISSE

Che fai, Atena? Non chiamarlo fuori.

ATENA

Non startene zitto. Mostra il coraggio tu.

ULISSE

Per gli Dei, se lui resta dentro.

ATENA

Che succede? Questo qua non era un uomo, fino a poco fa?

ULISSE

E per me un nemico, ora come prima.

ATENA

Ridere in faccia ai nemici non è il più dolce ridere?

ULISSE

A me basta che resti dentro.

ATENA

Ti fa paura guardare un uomo che si mostra posseduto dalla follia?

ULISSE

Se fosse in sé non avrei paura di lui.

ATENA

Ma non ti vedrà, anche se sei vicino.

ULISSE

Come, se egli vede con i suoi stessi occhi?

ATENA

Getterò un velo sulle sue palpebre, per quanto si sforzino di guardare.

ULISSE

Se è un dio ad agire tutto può succedere.

ATENA

Ora stai zitto e fermo.

ULISSE

Eccomi qui, ma vorrei essere lontano.

ATENA

Ehi, Aiace. È la seconda volta che ti chiamo. Tratti così la tua alleata?

AIACE

(Esce dalla tenda, coperto di sangue, con la spada in mano) Salute Atena, salute stirpe di Zeus, visto che mi sei benigna. E io ti farò corone tutte d'oro, come ringraziamento per questa caccia.

ATENA

Ben detto. Ma dimmi un po', hai bagnato bene la lunga spada nel sangue dell'esercito argivo?

AIACE

Un gran vanto è e non lo rinnego.

ATENA

E hai insanguinato la mano tra gli Atridi?

AIACE

Così non disonoreranno ancora Aiace.

ATENA

Gli uomini sono morti, se capisco bene.

AIACE

Morti. Mi rubino ancora le armi adesso!

ATENA

Ben fatto. Che ne è del figlio di Laerte? Come sta messo? O ti è sfuggito.

AIACE

Mi chiedevi di quella volpe ladra?

ATENA

Proprio così. Dico il tuo avversario, Ulisse.

AIACE

Sta dentro incatenato, mia Signora, il prigioniero che più mi fa godere. Infatti io non voglio che abbia una morte rapida.

ATENA

Prima cosa vorresti fare? Che cosa ti divertirebbe di più?

AIACE

Che stia incatenato al pilastro del vestibolo prima.

ATENA

Quale male infliggerai a quel poverino?

AIACE

Soprattutto, che con la schiena rossa di sangue per le frustate, muoia.

ATENA

Non vorrai tormentare così quel poverino?

AIACE

Atena, per il resto io cedo al tuo piacere, ma quello pagherà questa e non un'altra pena.

ATENA

E tu dunque, poiché ti piace agire così, dacci dentro, e non risparmiare nulla delle cose che hai in mente.

AIACE

Mi metto all'opera. A questo ti esorto: resta sempre dalla mia parte.(entra)

ATENA

Vedi, Ulisse, la potenza degli dei quanto è grande. Chi sarebbe stato ritenuto, più assennato, buono nell'agire bene, al momento giusto, di quest'uomo?

ULISSE

Che io sappia, nessuno. E però provo compassione per questo infelice, anche se mi è nemico, poiché è afflitto da un male sciagurato, considerando che io e lui non siamo poi diversi. Vedo che noi, quanti viviamo, nient'altro siamo che figure immaginarie o un'ombra leggera.

ATENA (127-133)

E dopo che hai visto con attenzione questo spettacolo, non provarti a dire parole insolenti agli dei, non fare il gradasso, se sei superiore a qualcuno per la forza o per la mole d'una grande ricchezza. Poiché la disgrazia e la fortuna degli uomini oscillano sulla bilancia di un unico giorno. Ma gli dei amano i saggi e odiano i malvagi.

(Ulisse esce. Atena resta in scena a godersi lo spettacolo. Entra il marinaio).

SCENA II

Guardate lo spettacolo del sangue. L'inganno di Aiace.

MARINAIO (134-200)

Aiace Telamonio. Se sei felice, sono felice anch'io. Ma mi tremano le gambe se ti colpiscono Zeus e i Greci che gridano furiosi. Orala notte si va a coricare [opp. Ora la notte se ne muore] e la testa mi scoppia di voci: dicono che con il ferro che brucia hai scannato le greggi dei Danai. Ulisse le fabbrica ste voci e le soffia nelle orecchie di tutti, insinuante è, non ce n’è uno che non gli creda. E tutti si scialano e ti sfottono come fossi lo scemo del villaggio. Non sbaglia mai chi se la prende con i potenti. Le malevoci strisciano e mordono chi è ricco. Ma io me la faccio sotto per la casa di Aiace. E dentro al cuore hanno messo casa angoscia e tremore.

TECMESSA

(Esce dalla tenda)

Marinaio di Aiace, il tuo terribile signore, il tuo grande signore dalle larghe spalle, giace avendo preso un male per una tempesta terribile.

MARINAIO

Che cosa hanno barattato la notte e il giorno? Parla, figlia del frigio Teleuta: poiché Aiace impetuoso possiede te, che hai sopportato il letto, il premio della lancia; e per ciò quello che dici l'hai visto con i tuoi occhi.

TECMESSA

Come dire con parole quello che dire non si può? Apprenderai un dolore che è uguale alla morte. Aiace, tutti noi lo conosciamo, venne tormentato questa notte da un attacco di follia. Queste cose le potresti vedere dietro il sipario di quella tènda, un flagèllo lacerato dalle mani sporche di sangue di quest'uomo, opera sua.

MARINAIO

Non è da ora che i grandi Greci proclamano già ‘sto fatto e non lo riesco a sopportare e non mi lascia in pace: questa voce va di qua e di là. E quello che viene dopo … Madonna che paura! Quell'uomo morirà davanti gli occhi di tutti, dopo che ha ammazzato con la mano violenta, con la spada lercia di sangue, greggi e pastori.

TECMESSA

Ah! di là, di là mi è arrivato portando il gregge legato. E di questo una parte, la scannava per terra, dentro, mentre l'altra la spaccò in due, con un taglio nel fianco. E dopo avere preso due montoni dai piedi agili, di uno scaglia in alto la testa e la lingua, e prima gliel'ha strappata, mentre l'altro, dritto, prima lo lega in alto alla colonna e poi prende una briglia grande per attaccare i cavalli e lo flagella con una doppia frusta stridente, lanciando male imprecazioni, che un demone e nessun uomo gli ha suggerito.

MARINAIO

E' tempo di darsela a gambe, con la faccia nascosta. I due comandanti Atridi sono furie di minacce. Poco fa ho avuto paura che mi pigliavano a pietrate.

TECMESSA

E' finita. Infatti è quieto come l'acuto vento dopo essersi slanciato da un luminoso baleno, e ora, che è tornato sano, soffre un dolore nuovo, dato che osservare le proprie sciagure, di cui nessun altro è causa, lo strazia fino a grandi gemiti di sofferenza.

MARINAIO

Ma se la follia si è fermata- che ne so? forse sta bene. Se il male se ne va, resta la ragione.

TECMESSA

Se ti dessero la scelta cosa sceglieresti: avere piaceri tu, affliggendo chi ti sta vicino, o soffrire insieme agli altri?

MARINAIO

Donna, è doppio quello che tu dici.

TECMESSA

Noi ora soffriamo, eppure lui non è posseduto dalla follia.

MARINAIO

Che hai detto? Io non ti capisco.

TECMESSA

Quell'uomo, quando era in preda alla follia, lui stesso si beava nei mali in cui si trovava, mentre tormentava me che al suo fianco stavo a guardare. Ora che ha finito e si è liberato della follia, anche lui s'è del tutto ricacciato in un terribile male, e io non soffro meno di prima. Non sono doppi questi mali che vengono da uno solo?

MARINAIO

Hai ragione… vuoi vedere che è un qualche disastro che viene da un dio. Come si spiega che non stia meglio di quando era squinternato?

TECMESSA

Devi sapere come stanno le cose.

MARINAIO

Come è cominciato il male? Mostra i destini a me che soffro con te.

TECMESSA (284-330)

Apprenderai tutta la storia come se fossi stato lì. È stato nel punto più alto della notte, quando le luci notturne non ardevano più, che quello ha preso la lancia dalla doppia punta e bramava di andarsene nelle strade vuote. E io lo rimprovero e dico: "che fai, Aiace? Perché senza adunata, né chiamato da un messaggero, né udendo la tromba ti slanci a questa lotta? Ma ora tutto l'esercito dorme". E lui mi disse due parole, le solite: "donna, il silenzio è il vestito delle femmine". E siccome avevo capito mi sono fermata, mentre lui, tutto solo, si proiettò fuori. Non ti dico l'angòscia. Tornò dentro portando legati insieme, tòri, cani da pastore e una prèda lanosa. E lì... la strage, li tira, li sgozza, gli spèzza le òssa della schiena, altri li lega e si butta nel mezzo come se tra quelle bestie ci fossero esseri umani. Alla fine ecco che balza fuori dalla porta e vomita insulti contro gli Atridi da un lato e dall'altro contro Ulisse, spanciandosi di risate, come avesse fatto pagare a questi un qualche grandissimo affronto. E poi quando balza di nuovo dentro, di nuovo tornato in se stesso, resta fermo per un po', e mentre guarda la dimora che s'è riempita di follia, cacciò un urlo mentre sbatte la testa. Tra i resti dei cadaveri della strage di agnelli stava seduto, crollato, mentre insieme con le unghie e con le mani si strappa i capelli. Muto sta. Per moltissimo tempo. Poi mi rivolse terribili minacce se non gli avessi raccontato tutto. Ed io, siccome ero spaventata per l'accaduto, dissi tutto quello che sapevo. Ed egli subito scoppiò in lamenti strazianti, che io prima, da lui, non avevo mai sentito, perché diceva sempre che piagnistei così erano roba da femminucce. Ma dalla bocca non gli uscivano gridi acuti di dolore: si lamentava come un toro che rimbomba e muggisce selvaggio. Ora, giacendo in tale sciagura della sorte, uomo senza fame, senza sete, cade e siede tranquillo in mezzo alle greggi sgozzate con la spada. E qualcosa ha in mente...

MARINAIO

Tecmessa, dici che è uscito pazzo?

AIACE

(Si sente dal retroscena il selvaggio e profondo lamento di un toro che crepa in mezzo al sangue) Aaaaaahhhh.

TECMESSA

In due mosse, a quanto pare. O non senti Aiace, che boato d'urlo che guaisce?

AIACE

Aaaaahhhh.

MARINAIO

Il male sembra che lo consuma o adesso soffre al ricordo dei guai che ha passato.

AIACE

Figlio, figlio.

TECMESSA

Sono una disgraziata. Eurisace, il tuo nome grida.

AIACE

Teucro chiamo, Teucro, dove sei? Io muoio.

MARINAIO

Direi che non è pazzo. Apri. Vedendoci si potrebbe mettere un po' di vergogna.

TECMESSA

Ecco apro. Puoi vedere le sue imprese e come sta messo.

(Si apre il sipario che vela la tenda in cui è rincattucciato Aiace)

AIACE

Amico mio, solo tra i miei amici, solo che mi resti fedele. Guarda che tempesta di sangue che mi avvolge.

MARINAIO

Il tuo aspetto è il più vero testimone. La tua azione, è chiaro, è quella di un pazzo.

AIACE

Amico mio uccidimi.

MARINAIO

Non bestemmiare. Non fare il male peggio, buttando il bambino e l’acqua sporca.

AIACE

Tu mi vedi, vedi me il coraggioso, il cuor di leone, quello che non ha paura nelle battaglie rovinose, tu mi vedi terribile con le mani in mezzo alle fiere da cortile? Sono stato uno zimbello oggi, zimbello di un oltraggio.

TECMESSA

Basta, ti prego, mio signore

AIACE

Fuori tu, gira i tacchi! Aaaahhhh.

TECMESSA

Basta, per gli dei, torna in te.

AIACE

Sventurato sono, che con le due mani ho scatenato demoni vendicatori, mentre sangue nero ho fatto scorrere gettatomi tra le mucche e quelle capre di cui parlano tutti.

MARINAIO

Dimentica il passato. Chi ha dato ha dato...

AIACE

Guardando tutto ciò, figlio di Laerte, strumento di tutti i mali, tu la più grossa carogna dell'esercito, come te la ridi per la soddisfazione!

MARINAIO

A Dio piacendo tutti o ridiamo o piangiamo.

AIACE

Lo vedrei volentieri, pure se soffro, aaaaaahhhh.

MARINAIO

Piano con le parole. Non vedi come stai messo inguaiato.

AIACE

Che crepino il farabutto traditore e i due re, per volere tuo Zeus, padre degli avi, e alla fine crepi pure io!

TECMESSA

Quando fai queste richieste, chiedi la morte pure per me, come continuerò a vivere io quando tu sarai morto?

AIACE

Oscurità, mia luce, tenebra più splendente, così venite a me, prendete, prendete me come abitante, prendetemi. Infatti non sono degno di guardare né la stirpe degli dei né degli uomini mortali per chiedere un aiuto. Ma mi colpisce a morte l'invicibile dea, figlia di Zeus. Dunque uno dove può fuggire? E quando ci arrivo, dove posso restare se tutto l'esercito con una lancia in ogni mano potrebbe uccidermi?

TECMESSA

A questo siamo. Prima non avresti parlato mai così.

AIACE (430-480)

AhaaaahhhaiAi-Ai-Aiace, il mio nome è un lamento. Chi avrebbe creduto che il mio nome fosse così prossimo ai miei mali? Ora io posso gridare due volte questi lamenti, anche tre. Infatti sono caduto in questi mali. Quando mio padre ritornò a casa da questa terra d'Ida era il primo dell'esercito per il suo splendore e portò ogni gloria. Io, figlio suo, che sono giunto in questo luogo di Troia con una forza non minore, e che non ho sfigurato rispetto a lui, così sono annientato, disprezzato dagli Argivi. E di sicuro questo, io lo so per certo: se Achille da vivo si fosse messo a giudicare gli eroismi di qualcuno, le sue armi non le avrebbe ottenute nessuno a parte me. Ora invece gli Atridi prestarono orecchio all'uomo dai mille inganni mentre respinsero gli onori a quest'uomo (intende se stesso). E se questi occhi e la mente non mi avessero privato della mia saggezza, non avrebbero decretato in favore di un altro. E ora la dea indomabile dallo sguardo che pietrifica, la figlia di Zeus, sollevando la mia mano contro questi, mi sprofondò nell'inganno, intossicandomi con la follia. Così le mani le ho insanguinate in mezzo a queste pecore e quelli mi deridono, che sono sfuggiti alla furia, deridono me, che sono innocente. E ora? Io, che per gli dei sono un nemico, ho incassato l'odio di tutti i Greci e di Troia e di un'intera pianura. Con quale faccia andrò da mio padre? Come sopporterà di vedermi apparire nudo, senza onori? Non è tollerabile. Oppure morirò, solo tra i soli, all'assalto dell'estremo baluardo di Troia? Fare qualcosa di nobile...ma senza dare soddisfazione agli Atridi. Cercare un'impresa tanto grande da mostrare al padre, al vecchio, che da lui non sono nato codardo. È una vergogna per un uomo implorare una vita lunga. Che me ne faccio del tempo che avvicina e allontana la morte? Alla stirpe dei nobili s'addice vivere con onore o con onore morire. Hai sentito tutto?

MARINAIO

Come no. Ma aspetta un momento, fatti convincere...

TECMESSA

Aiace, padrone, non c'è nessun male peggiore per un uomo che una sorte capricciosa. Io nacqui da padre libero, tra i Frigi ricco e potente se mai ve ne fu qualcuno. Ora sono una schiava. Così vollero gli dei e così volle la tua violenza. E mi preoccupo del tuo destino perché il mio è legato al tuo letto. E per Zeus, che è dio del focolare, ti prego e per il tuo letto, nel quale hai goduto di me, non mi fare sentire dai tuoi nemici le parole che fanno male, lasciandomi in potere di un altro. Se tu morissi e te ne andassi, conclusi i tuoi giorni, rifletti bene che in quel giorno io sarei presa con la violenza dagli Argivi e tuo figlio lo crescerebbero come un schiavo. E uno dei padroni, con parole di tortura, se ne uscirà con voce amara: "guardate quella che andava a letto con Aiace, colui che fu il più forte dell'esercito, a quali servizi si presta". Qualcuno dirà così e un demonio mi strapperà via mentre su di te e sulla tua stirpe cadranno questi disonori. L'onore, conservalo per tuo padre. Abbi rispetto per tua madre che è vecchia e che prega a gran voce che torni a casa vivo. Io non ho a chi rivolgermi a parte te. La patria me l'hai distrutta tu con la lancia, e un altro destino di morte ha sprofondato la madre, che mi ha generato, verso i morti, verso il popolo dell'Ade. Ora tu sei la mia patria. Non ti dimenticare di me. La memoria è un obbligo per un uomo se ha goduto. Non si fa niente per niente. Non è un uomo nobile quello che incassa il favore e non dà niente in cambio.

MARINAIO

Aiace, prenditi la compassione che ho nel mio cuore e mettila nel tuo. Esaudisci le sue parole.

AIACE

Che obbedisca.

TECMESSA

Io, Aiace mio, mi prenderò tutto quello che verrà.

AIACE

Portatemi ora mio figlio, che lo veda.

TECMESSA

L'ho fatto portare via. Che non muoia di paura alla vista di suo padre.

AIACE

Dammi la possibiltà di parlargli di vederlo in carne e ossa.

TECMESSA

No.

AIACE

Figlio...portalo qui. Non avrà paura assistendo a questa mattanza. È opera di suo padre.

TECMESSA

E' sorvegliato dai servi. Non lo vedrai.

AIACE

Figlio che tu sia più fortunato di tuo padre ma uguale d'animo, non malvagio. Io ti invidio che non sai questi mali. La vita non migliora nella saggezza, non conoscere è un male meno doloroso. Gli Achei non ti faranno del male, nemmeno senza di me. Ci penserà Teucro a proteggerti e a educarti. Tu, chiudi questa tenda, non restare a piangere qui davanti. Il piagnisteo è un passatempo amato dalle donne.Un medico saggio non dà l'estrema unzione prima di operare.

MARINAIO

Questo qua trama qualcosa.

TECMESSA

Mio signore, Aiace, che cosa hai in mente?

AIACE

Niente domande tu.

TECMESSA

Ti prego, per tuo figlio e per gli dei. Non tradirci.

AIACE

Tu sei troppo seccante. Non lo sai che io di obblighi con gli dei non ne ho nessuno.

TECMESSA

Parla chiaro.

AIACE

E tu parla a chi ti dà ascolto.

TECMESSA

Non mi darai ascolto?

AIACE

Gridi troppo. Sei lamentosa.

TECMESSA

Io, signore, ho paura.

AIACE

Chiudiamo o no?

TECMESSA

Per gli dei, lasciati convincere.

AIACE

Se pensi di farti maestra del mio comportamento mi sembri matta. (Rientra nella tenda con Tecmessa).

MARINAIO

Qua dentro c'è Aiace, poveri noi, infatato dalla pazzia divina e non si può curare. E quando sua madre, la povera vecchia, lo ascolterà posseduto dal diavolo della follia, non intonerà il lugubre, lugubre canto dell'usignolo, no, lo sfortunato uccello urlerà i lamenti funebri, battendosi il petto e si strapperà i capelli.

AIACE (646-691)

(Uscendo con Tecmessa) Il grande e smisurato tempo crea tutte le cose oscure e nasconde quelle evidenti. E alla fine cadono anche le menti ostinate. E infatti io che un tempo ero terribilmente forte, come ferro nell'acqua sono diventato una femmina per le parole di questa donna. Ho pietà, adesso, a lasciare lei e il figlio in mezzo ai nemici. Ma vado verso i lavacri, verso la pianura costiera, perché eviterò l'ira opprimente della dea quando avrò purificato la mia macchia. Senza testimoni andrò lì e nasconderò questa mia spada, il dardo più odioso, in un buco per terra. Il dono dei nemici, così dicono, porta disgrazia. Saprò cedere agli dei, imparerò a rispettare gli Atridi. Sono loro che comandano. O no? Le forze più terribili cedono il passo a quelle legittime. Gli inverni nevosi lasciano il posto all'estate dal bel frutto. L'eterno ciclo scaccia la notte perché arde il giorno dai cavalli bianchi e un vento di soffi mirabili placa il mare che geme. Quanto a me proprio ora so che il mio nemico è da odiare tanto da finire per amarlo. Tu donna prima vai dagli dei, per i sacrifici, poi prega che il mio cuore compia le cose di cui ha desiderio. E tu, compagno, onora questa come onori me e a Teucro, se arriverà, riferisci di avere cura di me e di essere benevolo con te. Io vado là, dove bisogna andare. Voi fate come vi dico (esce da una parte e dall'altra esce Tecmessa).

MARINAIO

Questa è una buona notizia. Aiace s'è scordato dei mali e finalmente ha rispetto per i doveri della religione. Il tempo cura ogni cosa e Aiace si è pentito dell'odio per gli Atridi e per le spacconate. E chi se l'aspettava?

ATENA

(Nel frattempo Atena, a vista, si è trasformata nel messaggero. È un trucco tipico di questa dea, presentarsi sotto mentite spoglie, ingannando gli uomini) Amici miei, per prima cosa voglio annunciarvi che Teucro proprio ora giunse dai monti della Misia. E quando arrivò in mezzo al campo tra gli Argivi, cominciarono gli insulti. Lo circondarono, lo infamarono, da una parte e dall'altra, nessuno escluso, e lo chiamavano il fratello del matto, del cospiratore, e a momenti lo pigliavano a sassate. Ma Aiace? Dove sta che gli devo spiegare queste cose?

MARINAIO

E' fuori, adesso ha cambiato atteggiamento.

ATENA

Troppo tardi.

MARINAIO

Ma che vai cercando?

ATENA

Teucro diceva che quell'uomo dentro casa doveva stare e non uscire finché lui non fosse giunto.

MARINAIO

E adesso torna! prima ha il suo da fare a scacciare l'ira degli dei.

ATENA

Le tue parole sono piene di idiozia, se Calcante espresse il responso dell'oracolo da saggio.

MARINAIO

Quale. Ma tu che cosa sai?

ATENA

Io so queste cose e le so perché ero lì. Calcante, da solo, senza gli Atridi, dopo essere uscito dal cerchio dei capi, la mano nella mano destra di Teucro disse con affetto e raccomandò con ogni mezzo di imprigionare Aiace, finché ha luce questo giorno, dentro alla sua tenda, se voleva posare i suoi occhi su di lui ancora vivo. Infatti l'ira della dea Atena lo pungola solo questo giorno. Così diceva. Diceva l'indovino che i corpi cadono, senza misura e inutili, per le azioni profonde e avverse degli dei. E Aiace è stato folle. Quando suo padre gli disse: "figlio, che tu sia il primo con la lancia ma sempre con il favore degli dei" lui spaccone e idiota rispondeva: "primeggia con il favore degli dei uno che non vale niente. Io la gloria, sono certo, la strapperò senza di loro". Hai capito? E ad Atena che gli offriva il suo aiuto rispose: "Vattene dagli altri Argivi, non è dove sono io che il nemico passerà". Con queste parole s'è guadagnato l'ira intollerabile della dea, non usando il cervello da uomo. Ma forse oggi, se vogliono gli dei, potremo salvarlo. Tali cose disse l'indovino. E così Teucro mi mandò. Se falliamo e se Calcante è saggio quell'uomo non c'è più.

MARINAIO

Tecmessa, povera figlia. Hai visto che parole che proclama questo con grandi grida? Ci rode fino alle ossa e non c'è un briciolo di gioia.

TECMESSA

(Esce) Che notizie dall'assemblea per me, che ho appena finito di soffrire?

MARINAIO

Presta orecchio a quest'uomo che ci racconta un fatto su Aiace per il quale io provo dolore.

TECMESSA

Che dici? Sono perduta?

ATENA

Di te non ne so nulla. Per Aiace invece temo, se lui non è in casa.

TECMESSA

E non lo è.

ATENA

Tecucro ordina di recluderlo nella tenda e non lasciarlo solo.

TECMESSA

Dov'è Teucro?

ATENA

Torna giusto adesso. Ma teme che questa passeggiata di Aiace faccia tappa all'inferno.

TECMESSA

Come lo sa?

ATENA

Glielo ha detto l'indovino, il figlio di Testore.

TECMESSA

Amico mio, diamoci da fare. Uno chiami Teucro, che si sbrighi! Un altro vada a oriente. Io cercherò ad occidente, la mala strada di quell'uomo. Ho capito. Mi ha ingannata. Non mi fermerò finché avrò forza.

MARINAIO

Io sarò veloce con i piedi come nell'agire.

(escono)

SCENA III

L'inganno svelato. Aiace muore da uomo, non ha il coraggio di una donna.

AIACE (815-865)

(Mostra in mano la spada che conficcherà per terra) L'assassina, eccola qua. Più tagliente che mai, da poco affilata con la pietra aguzza che si ciba di ferro. Il dono per gli ospiti di Ettore, l'uomo più odiato di tutti, il più nemico solo a guardarlo. L'ho ficcata nell'altra nemica, la Troade, fino al fondo della terra, l'ho ficcata io, ed è il più rapido e dolce morire. Zeus, un solo dono ti chiedo, un messaggero che porti a Teucro la cattiva notizia che per primo si occupi del mio corpo sconfitto dalla spada che si beve fresco il mio sangue, e che non mi lasci preda dei cani e degli uccelli alla vista dei miei nemici. Questo ti chiedo Zeus, e insieme invoco anche Ermes infernale che scorta le anime. Un solo salto, niente spasimi. Uno squarcio sul fianco. Ma anche le Erinni nobili chiamo che si portino via gli Atridi, in modo atroce, che crepino quelli! Uccisi dal loro stesso sangue, sbranateli Erinni e poi sterminate l'esercito tutto. E tu Sole, sul tuo carro annuncia le mie sciagure e il mio fato di morte a mio padre e a mia madre . Lei caccerà un gemito che squarcerà tutta la città: un inutile canto di morte. Vieni morte, vieni rapida, guardami bene. Addio patria e raggi del Sole che guardo per l'ultima volta e non da ultimo. Aiace alla fine queste parole vi grida, il resto lo dirò a quelli che stanno all'inferno (Si ammazza, entrano Tecmessa e Atena in veste di messaggero, l'una da una parte l'altra da quella opposta).

SCENA IV

Tra poco, di sera, calerà il sipario davanti alle ombre in scena

TECMESSA

No!

ATENA

Di chi è quest'urlo sonoro?

TECMESSA

Sono una disgraziata.

ATENA

La fanciulla conquistata con la lancia, Tecmessa dal triste destino, la vedo stretta da questa pena.

TECMESSA

Amico mio, sono finita, sono distrutta, annientata, sono persa.

ATENA

Allora?

TECMESSA

Qui giace Aiace. Appena squartato, un salto ha fatto, su una spada nascosta.

ATENA

L'uomo dal destino avverso, da chi si è fatto aiutare?

TECMESSA

Ha fatto da solo. È chiaro. Il testimone è questa lunga spada conficcata per terra, su cui si è buttato.Che disgrazia, come ti sei insanguinato, senza i tuoi amici.

ATENA

Ma dove giace Aiace l'ostinato, che ha un nome che è una maledizione?

TECMESSA

Non si può vedere. Ma lo avvolgerò completamente con questo lenzuolo funebre che attorno lo copre, ché nessuno, che gli sia caro, potrebbe sopportare di vedere quello, che soffia sangue nero dalle narici e dalla rossa ferita, quello che s'è squarciato da solo. Dov'è Teucro? Se venisse giungerebbe a proposito a comporre la salma di questo fratello che s'è ammazzato. Aiace, sfortunato nel destino, ma così tra gli amici come tra i nemici, degno di ricevere i canti luttuosi.

ATENA

Una tale sventura, lo so, va dritto al cuore.

TECMESSA

Figlio mio, verso quale schiavitù andiamo, quali padroni incombono su noi due?

ATENA

Un dio te ne scampi.

TECMESSA

Sono a questo punto per volontà loro, per volere divino.

ATENA

Questo è un fardello troppo pesante.

TECMESSA

La terribile dea, Pallade Atena, figlia di Zeus, ha partorito queste pene, per il piacere di Ulisse.

ATENA

L'uomo dalla pazienza infinita ora si bea nel suo animo negro, e si spancia dalle risate per i folli deliri, poveri noi, e con lui anche i due re, gli Atridi, mentre lo ascoltano raccontare.

TECMESSA

Loro sono tra quanti se la ridono e godono per le sue disgrazie, dunque. Lo stesso, anche se non lo amavano da vivo, potrebbero lamentarlo morto, per via della sua spada. Infatti quelli cattivi di spirito non riconoscono il bene nemmeno quando ce l'hanno in mano fino a quando qualcuno non lo porta via. Per me è dolorosa la sua morte, mentre per quelli è dolce e per lui è un sollievo. Infatti ha ottenuto quello che desiderava, proprio quella morte che voleva.

ATENA

Perché si dovrebbe ridere di lui? Questo è morto per volontà degli dei non per via di mortali.

TECMESSA

Ma è morto e a me ha lasciato dolori e urla da funerale.

TEUCRO

Aaaaaahhhh.

ATENA

Silenzio. Mi sembra di sentire Teucro che grida un canto di morte per questa sciagura.

TEUCRO

(Entra in scena)

Aiace mio, un solo sangue abbiamo, un solo identico viso: quello che dicono è vero?

TECMESSA

E' morto, Teucro, sappi questo.

TEUCRO

Dunque la sorte è cattiva.

ATENA

Stando così le cose.

TEUCRO

Sono un disgraziato.

ATENA

E' giusto gemere.

TEUCRO

Questo dolore mi fa infuriare.

TECMESSA

Troppo, Teucro.

TEUCRO

E suo figlio? Dove lo trovo, in quale parte di Troia?

TECMESSA

Solo, presso la tenda. Da vivo, quell'uomo ha lasciato a te la sua cura.

TEUCRO (992-1046)

Oh, tra tutti gli spettacoli che ho visto con i miei occhi, il più doloroso! Tra tutte le strade quella che ho fatto è quella che più mi ha lacerato il cuore, perché correndo e fiutando le tracce, ho sentito il tuo destino. Forza, scopritelo! Che io veda del tutto la malasorte.(Scoprono il cadavere). Il viso è inguardabile, è il viso di un coraggio doloroso. Tu muori dopo avere seminato dolori tanto grandi. Dove posso andare io adesso, che non ti ho saputo aiutare mentre soffrivi? E come potrebbe accogliermi benigno, Telamone, tuo padre e anche il mio? come il popolo? visto che io torno ma tu non ci sei. Quali insulti non dirà, il padre, dirà che io, che sono un bastardo, il figlio di una donna di guerra, ti ho tradito con viltà, con vigliaccheria, Aiace mio, o con gli inganni, così da amministrare il tuo potere e la tua casa? Che farò? E come ti staccherò, disgraziato, da questa spada dolorosa e ingannatrice, su cui, assassina, hai esalato adesso il respiro? Hai visto come Ettore t'ha ucciso da morto, con l'alleanza del tempo. Guardate, per gli dei, il destino per i due uomini. Ettore ebbe un regalo da lui, la cintura che l'ha squartato, straziato dai cavalli: fu così che morì. E questi ebbe da lui questo dono e morì: ci è saltato sopra.

TECMESSA

La stai tirando per le lunghe. Sbrigati a seppellirlo con cura e con cura a parlare. Infatti io vedo avanzare un nemico, un uomo cattivo che viene a farsi beffe delle disgrazie.

TEUCRO

Chi è quell'uomo dell'esercito che vedo arrivare?

TECMESSA

Agamennone, il fratello di quello che aveva una donna che, dicono, partorì una guerra.

TEUCRO

Da vicino ora lo vedo e lo riconosco.

AGAMENNONE

Ehi, tu. Dico a te! Non toccare con le mani quel morto, ma lascialo come sta.

TEUCRO

E questo chi lo dice?

AGAMENNONE

Lo dico io, che comando l'esercito.

TEUCRO

E perché?

AGAMENNONE

Speravamo che fosse un alleato per gli Achei e un amico. Lo scoprimmo più nemico dei Frigi. Se non fosse stato per l'intervento di uno degli dei, questa sorte, che è toccata a lui, noi l'avremmo avuta, e giaceremmo a terra, scannati come i montoni e le capre su cui lui si è gettato. E lui sarebbe vivo. Per questo, non c'è nessuno che valga, che lo disporrà in sepoltura ma visto che lo getteremo sulla sabbia gialla farà da pasto ai gabbiani. Per ciò, non scaldarti. Se infatti non potemmo sottometterlo da vivo, lo comanderemo da morto, avendolo drizzato con le mani, pure se non vuoi. Non c'era verso che da vivo mi ascoltasse. Ma senza paura non si governa. Nella paura e nella vergogna c'è la salvezza per lo stato. Qualora si lasci passare che uno alzi la testa e faccia come gli pare, considera che lo stato si precipiterebbe nel baratro. La giusta paura ci vuole: si alternano gioia e dolore. Prima questo qua bruciava di arroganza e ora sono io superiore. E ti dico di non seppellirlo perché se lo seppellisci finirai tu nella tomba.

TECMESSA

Chi non è saggio rischia di dispensare la sua arroganza nel regno dei morti.

TEUCRO

In che modo puoi comandare sulle genti che ha condotto lui, fin qui, in guerra? Tu non puoi comandare su di lui più di quanto lui non possa su di te. Dai ordini ai tuoi sottoposti, e rimproverali pure con parole secche. Questo, come è giusto, lo disporrò nella tomba, senza paura per il tuo blaterare. Lui ha combattutto per i giuramenti ai quali era legato, non per una donna.

AGAMENNONE

L'Arciere sembre essere altrettanto gradasso.

TEUCRO

Sono un soldato.

AGAMENNONE

E' dunque giusto che abbia onore quello che mi ha ucciso?

TEUCRO

Che mi ha ucciso? Diresti davvero bene se non fossi un morto pieno di vita.

AGAMENNONE

Un dio mi trasse in salvo ed eccomi qua.

TEUCRO

Non fare un torto agli dei che ti hanno salvato, allora.

AGAMENNONE

Potrei mai io non rispettare le leggi degli dei?

TEUCRO

Se vieni qui a non fare seppellire i morti.

AGAMENNONE

Dovrei seppellire i miei nemici? Non è una bella cosa.

TEUCRO

Aiace allora era tuo nemico?

AGAMENNONE

Lui mi odiava e io lo ricambiavo con l'odio. Tu questo lo sapevi. Te lo dirò chiaro: questo qua non bisogna seppellirlo.

TEUCRO

Tu senti bene questo: io lo seppellirò.

AGAMENNONE

Ho visto un uomo che a parole faceva sfracelli, che incitava i marinai a navigare con la burrasca. Ma quando buttava male, nella tempesta, non gli cavavi un suono dalla gola ma nascosto sotto al mantello era il tappeto dei marinai che ci passavano sopra come volevano. Così è anche per te e la tua bocca coraggiosa: una grande tempesta che soffia da una piccola nube potrebbe disperdere in due minuti il tuo grande vociare.

TEUCRO

E io ho visto un uomo del tutto cretino che faceva l'arrogante tra le disgrazie di quelli vicini a lui. E uno simile a me, uguale pure per la rabbia, avendolo visto gli disse circa così: "ehi tu, guai a chi fa male ai morti. Se tu dunque agirai male verso di loro, sappi che ti farai male da solo". Così consigliava a quell'uomo meschino.

TECMESSA

Teucro, per quanto si può, sbrigati ad ottenere una buca concava per questo, dove avrà un'umida tomba, per i mortali ricordo eterno di chi era.

TEUCRO

Sarebbe giusto che io, il figlio e la donna gli dessimo una sepoltura onorata, avendo tra le mani le nostre tre chiome e io tagliassi una treccia. Se uno lo impedisce dovrebbe cadere per terra lui, lui senza sepoltura, e dovrebbe cancellarsi la stirpe sua.

TECMESSA

Quando finiranno questi anni di dolore e di guerra? Aiace ci ha fatto vedere che Ares non porta che odio a tutti.

AGAMENNONE (1229-1265)

Zitta, donna. Da voi vengono parole arroganti che non posso sopportare. Pure da te dico, il figlio bastardo di una donna bottino di guerra. Se fossi stato allevato da una donna di nobile stirpe potresti darti delle arie e camminare a petto in fuori, ma tu lotti per questo niente tu che non sei niente, e davanti agli dei a sentire te noi siamo giunti qui senza essere comandanti, né capitani di navi degli Achei, né tuoi. Aiace solo, navigava qui come capo. Bisogna sentire questi oltraggi dagli schiavi? Gli Achei non hanno uomini a parte questo? A quanto pare abbiamo bandito amari agoni per le armi di Achille, se così la pensa Teucro e che importa il giudizio di molti giudici? In questo modo non si potrà mai stabilire una legge se metteremo da parte quelli che hanno vinto secondo giustizia e metteremo quelli che sono arrivati dopo per primi. Ora basta. Non gli uomini robusti, né quelli ben piantati dalla schiena larga detengono bene il potere ma i saggi. Il fianco del bue cammina dritto per la strada anche sotto il pungolo di una piccola frusta. Metti la testa a posto, tu, che sei arrogante e temerario e parli troppo liberamente, anche se qui non c'è più un uomo ma un'ombra. Non diventerai saggio? Non porterai qui un altro uomo, un uomo libero, dopo che finalmente avrai capito qual è la tua condizione per natura, uno che al nostro indirizzo parlerà in tuo favore, al posto tuo? Io non capisco niente delle tua parole. Infatti non intendo la lingua di uno straniero.

TECMESSA

Magari a tutti e due diventasse saggia la mente. Non ho da dirvi niente di meglio di questo.

TEUCRO

Quando uno muore come si dissolve rapidamente per gli uomini il rispetto! Quest'uomo, Aiace, ti liquida in due parole e per lui hai lottato con la spada e hai rischiato la vita. Ma tutte queste cose se ne vanno in un soffio. Hai detto un cumulo di sciocchezze! Non ricordi che questo qua, da solo vi ha salvato dalla sconfitta, chiusi nei recinti, mentre il fuoco bruciava nell'alto delle poppe delle navi e Ettore balzava verso gli scafi? Chi fece queste cose? Non fu forse lui? E non le fece secondo giustizia? Era questo a fare queste cose ed io, lo schiavo, ero con lui, io che non sono nato che da una madre straniera. Tu, poveretto, dove metti la faccia quando gridi queste cose? Non sai che il padre di tuo padre il vecchio Pelope era un Frigio, uno straniero. E quello che ti ha generato, Atreo, il più empio, che ha imbandito al fratello il pasto dei propri figli? Tu stesso sei nato da una madre cretese. Essendo di tale pasta biasimi la stirpe a uno come me, che sono figlio di Telamone, colui che. dato che era il primo nell'esercito, con la forza si congiungeva con mia madre, che di stirpe era regale, figlia di Laomedone: quel dono nobile a lui lo diede il figlio di Alcmena, Ercole. Ed io il migliore che vengo da due stirpi migliori, potrei gettare il disonore sul sangue di quelli che mentre giacciono qui tra tali pene, tu ora vuoi lasciare senza sepoltura? Apri bene le orecchie, se getterai questo corpo agli animali insieme getterai me, la donna e suo figlio.

(Entra Ulisse)

ATENA

Signore Ulisse, sappilo, giungi a proposito, se vieni non per complicare le cose ma per risolverle.

ULISSE

Che succede, uomini? Da lontano ho sentito l'urlo Atride su questo morto valoroso.

AGAMENNONE

Signore Ulisse, da quest'uomo non abbiamo appena sentito i discorsi più vergognosi?

ULISSE

Quali? Io scuso le ingiurie lanciate da chi viene ingiuriato.

AGAMENNONE

Ingiurie? È lui che ha cominciato!

ULISSE

Che male ti ha fatto?

AGAMENNONE

Non dice che lascerà questo morto senza un destino di sepoltura, ma dice che lo seppellirà contro il mio comando.

ULISSE

Ma è possibile ad un amico dirti la verità ed aiutarti?

AGAMENNONE

Parla. Ti considero l'amico più grande tra gli Argivi.

ULISSE

Ascolta ora. Non lasciare che si butti quest'uomo senza una tomba, con crudeltà, in nome degli dei. La forza dell'odio verso di lui non ti deve vincere tanto da calpestare la giustizia. Questo qui era il mio più grande nemico nell'esercito, da quando le armi di Achille le ho vinte io, ma tuttavia, anche se è tale ai miei occhi, non potrei disprezzarlo tanto da non dire di avere visto in lui il più valoroso degli Achei, di quelli che venimmo a Troia, a parte Achille. Onoralo come vuole Dike, la Giustizia. Non disprezzeresti lui in caso contrario ma le leggi degli dei. Non è bene negare il valore di un valoroso quando muore, nemmeno se è un tuo nemico.

AGAMENNONE

Tu, Ulisse, mi vai contro così, in difesa di questo qua?

ULISSE

Proprio io. Ma non è più il tempo dell'odio.

AGAMENNONE

Non è facile che sia rispettoso chi comanda.

ULISSE

Ma lo è onorare i buoni consigli degli amici.

AGAMENNONE

Tu sei un uomo abile e prode ma devi ascoltare quelli che hanno il pieno potere.

ULISSE

Fermati. Il comando resta in mano tua, anche se cedi alle pressioni di quelli che ti sono vicino.

AGAMENNONE

Ricorda a quale uomo tu offri pietà.

ULISSE

Un nemico, ma di nobile stirpe.

AGAMENNONE

Che farai allora? Ti mostrerai rispettoso sulla carogna?

ULISSE

L'odio fa spazio alla virtù. Chi era nemico ora è amico.

AGAMENNONE

Amici? Questi qua? È questa la tua proposta? Verrà ricordata come un'idea tua non mia.

ULISSE

Qualora lo facessi saresti del tutto nobile.

AGAMENNONE

Apri bene le orecchie. Io a te potrei dispensare una grazia anche maggiore di questa mentre lui, che sia qui o all'altro mondo, per me sarà lo stesso niente più che un nemico. Ma a te è concesso fare quanto desideri. (esce)

ATENA

Ulisse, colui che non ti dica saggio di pensiero è uno stupido, visto che lo sei.

ULISSE

Teucro, tanto grande era il mio odio quanto adesso è la mia amicizia. Insieme voglio seppellire il morto e insieme avremo tutte le pene che sono dovute alla memoria degli uomini migliori.

TECMESSA

Nobile Ulisse, ho solo lodi per te e per le tue parole. Hai saputo ingannare anche le mie aspettative: la tua bocca è un'arma che insieme dà gioia e paura. Infatti pur essendo per questi il nemico principale tra gli Argivi, sei venuto in aiuto da solo, né hai sopportato qui, tu che sei vivo, che il morto subisse l'oltraggio perverso, quando il signore dell'esercito impazzito volevano gettarlo senza sepoltura, oltraggiato.

TEUCRO

Zeus, il re dell'Olimpo e l'Erinne dalla memoria lunga e Dike, la giustizia vendicatrice, li facciano crepare in modo terribile, loro che volevano buttarlo via, senza sepoltura, senza rispetto.

TECMESSA

Stirpe del vecchio padre Laerte, però io indugio a farti mettere mano alla sua sepoltura.

TEUCRO

Non facciamo al morto questo torto.

TECMESSA

Per il resto fai pure. Anche se vuoi portare qualcuno dell'esercito alle sue esequie, per noi va bene.

TEUCRO

Io preparerò quello che mi spetta. Sappilo tu che per noi sei stato un nemico.

ULISSE

Avrei voluto, ma se non è possibile partecipare al funerale da vostro amico, va bene. (Esce)

TEUCRO

Basta così. L'affare è andato troppo per le lunghe. Apprestiamo con le mani una concava buca, e in alto poniamo un tripode circondato di fuoco, giusto per i sacri lavacri. Dalla tenda porteremo l'armatura che copriva lo scudo. Tu donna, aiutami a sollevarlo, con tutta la tua forza. Dalle vene scorre ancora un fiotto nero. Ci serve l'aiuto di tutti quelli che sono stati suoi amici. Io dico di Aiace, il migliore di tutti, quando era vivo.

ATENA

(Ora, alla fine, svela la sua identità) Gli uomini possono conoscere molte cose con i loro occhi. Ma prima di vederlo nessuno prevede il futuro che lo aspetta. Gli dei amano gli uomini saggi ma odiano i malvagi.

FINE