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LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

L'insegnamento sociale della Chiesa Cattolica 
Elementi fondamentali per comprendere, valutare e orientarsi in politica .

Perchè una dottrina sociale della Chiesa?

Il dono dello Spirito di Gesù è la Vita Divina che trasforma l'uomo naturale in cristiano , un uomo nuovo, libero dalle grinfie del maligno, forte nel combatterlo, capace di compiere il bene fino alla perfezione, come Gesù stesso, con una amore che è umano-divino. Lo Spirito di Gesù , che e' stato dato nei sacramenti della chiesa a cominciare dal battesimo-cresima-eucarestia , attraverso i cristiani si manifesta nella Storia come un Vangelo, una Novità che S.Paolo chiama con un termine nuovo : Carità.

La carita' e' attributo della natura divina. 
La carita' e' l'amore con cui Dio ama incondizionatamente. 
La carità si e' rivelata pubblicamente nell'amore con cui Gesù ha amato il Padre e gli uomini.
La carità viene partecipata da Gesù ai cristiani comunicando la sua natura umanodivina risorta.
I cristiani sono potenzialmente capaci di vivere come Gesù, amando come uominidèi con carità.

La " legge naturale di vita" dei cristiani è la carità.

E' la nuova relazione con Dio per mezzo di Gesù che "tiene" il cristiano nel milieu divino della carità:

Cat. Univ. Chiesa Catt.   (CUCC)
-1972 
La Legge divina nuova è chiamata una legge d'amore,

Il comando divino antico era "ama Dio con tutto te stesso e il prossimo come te stesso ", era il comando per l' uomo naturale . Il comando nuovo è  letteralmente lo stesso di quello antico ma è nuovo perchè rivolto ad un uomo nuovo , l'uomodio in formazione , il cristiano.

Qui è la novita', il vangelo : l'uomo antico poteva amare solo con la sua natura umana, il cristiano puo' amare con la sua natura umano-divina, con carità, come Gesù il quale ama puntando alla felicità eterna dell'altro , ama di un Amore Nuovo , umano-soprannaturale: la Carità.

L'esperienza cristiana è
- esperienza di libertà :
- azione libera rispetto alle suggestioni del male
 ,
perchè azione orientata a Gesù e mossa dalla carità verso di Lui e verso il prossimo.

- perché fa agire in virtù dell'amore che lo Spirito Santo infonde,
più che sotto la spinta del timore;

- una legge di grazia, perché, per mezzo della fede e dei sacramenti, conferisce la forza della grazia 
per agire;

una legge di libertà , [Cf Gc 1,25; Gc 2,12 ] perché ci libera dalle osservanze rituali e giuridiche della Legge antica,  ci porta ad agire spontaneamente sotto l'impulso della carità.

Nel cristiano, ove dimora lo Spirito di Gesù, questo Spirito ... porta ad agire spontaneamente sotto l'impulso della carità.Spontaneamente non significa qui automaticamente : il rapporto tra il libero arbitrio dell'uomo naturale, che rimane tale, e lo Spirito di Gesù è un rapporto di alleanza . L'uomo può aderire a questa alleanza o romperla :

- se i cristiani aderiscono totalmente a questa alleanza , nel loro agire si manifesta spontaneamente la carità. 
- se la loro adesione è parziale, la carità in loro stenterà a manifestarsi. 
- se rompono l'alleanza significa che hanni fatto alleanza con il maligno e la carità in loro non può manifestarsi.

Nella storia del cristianesimo si possono osservare nei cristiani tutte e tre le condizioni : ci sono stati e ci sono i santi ed i beati, i bravi cristiani, i cristiani mediocri ed i cristiani traditori dell'alleanza.

Bisogna vedere con chiarezza la portata della rivoluzione della carità : se tutti diventassero cristiani e fossero fedeli all'alleanza in Gesù, l'umanità agirebbe spontaneamente con carità con un miglioramento della vita planetariainimmaginabile!

"il cristianesimo ha una sua fortissima specificità nell' annunciare l' unità del genere umano e quindi l' appartenenza ad un' unica comunità umana".  [ Mons. Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace ]

CUCC 360 Grazie alla comune origine il genere umano forma una unità.  Dio infatti "creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini" ( At 17,26 ): [Cf Tb 8,6 ] . La fratellanza umana è il fondamento della solidarietà umana (solido=unità inscindibile) in quanto tutti derivano da una unico uomo originario e tutti hanno il diritto di realizzare in pienezza la loro umanità attraverso le infinite culture umane possibili.

La fratellanza umana in Dio, nella comune immagine del Verbo, riscattata e resa viva dalla salvezza donata in Gesù, è il fondamento della carità ..

La fratellanza umana è il fondamento della solidarietà umana

..in quanto tutti ereditano da Adamo l'immagine di Dio e tutti hanno il diritto di realizzarla nella loro vita in tutta la sua pienezza, per grazia dell'opera di Gesù , di redenzione e santificazione e della sua Chiesa.

1699 La vita nello Spirito Santo è gratuitamente concessa come una Salvezza. 
Essa realizza la vocazione dell'uomo.
Il fine ultimo dell'uomo creato ad immagine di Dio, il fondamento dell'etica : è la beatitudine 
( nello stesso tempo è )
le vie per giungervi, cioè la via della carità.

Il mondo è dominato dal maligno e costitutivamente anticristiano. I cristiani hanno cercato di sopravvivere nella storia radicati nella salvezza ricevuta e cercando di creare le condizioni migliori perchè questa salvezza fosse sempre disponibile per tutti.

Nei secoli hanno partecipato alla costruzione della vita sociale in ogni parte del mondo, orientati dalla novità della loro condizione antropologica verso una piena umanizzazione delle società . La riflessione su questa esperienza si è sedimentata nella Dottrina Sociale.

La Dottrina Sociale è la via della carità ed ben descritta nel documento " Sollecitudo Rei Socialis "

(Sollicitudo rei socialis, SRS 41) (...) Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al campo dell’ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale.

(...) L’insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. E, trattandosi diuna dottrina indirizzata a guidare la condotta delle persone [ cristiane , n.d.r.] , ne deriva di conseguenza l’«impegno per la giustizia» secondo il ruolo, la vocazione, le condizioni di ciascuno.

...La Chiesa (...) non propone sistemi o programmi economici e politici, né manifesta preferenze per gli uni o per gli altri, purché la dignità dell’uomo sia debitamente rispettata e promossa ed a lei stessa sia lasciato lo spazio necessario per esercitare il suo ministero nel mondo. Ma la Chiesa è «esperta in umanità» e ciò la spinge a estendere necessariamente la sua missione religiosa ai diversi campi in cui uomini e donne dispiegano le loro attività, in cerca della felicità, pur sempre relativa, che è possibile in questo mondo, in linea con la loro dignità di persone.

(...) La dottrina sociale della Chiesa non è una «terza via» tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una categoria a sé. Non è neppure un’ideologia, ma l’accurata formulazione dei risultati di un’attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale.

(...) All’esercizio del ministero dell’evangelizzazione in campo sociale, che è un aspetto della funzione profetica della Chiesa, appartiene pure la denuncia dei mali e delle ingiustizie. Ma conviene chiarire che l’annuncio [ della salvezza cristiana e delle sue ricadute benefiche sul mondo n.d.r.] è sempre più importante della denuncia, e questa non può prescindere da quello, che le offre la vera solidità e la forza della motivazione più alta.

«La sollecitudine sociale della Chiesa, finalizzata ad un autentico sviluppo dell'uomo e della società, che rispetti e promuova la persona umana in tutte le sue dimensioni, si è sempre espressa nei modi più svariati»

Pertanto, cominciando dal validissimo apporto di Leone XIII arricchito dai successivi contributi magisteriali, si è ormai costituito un aggiornato corpus dottrinale, che si articola man mano che la Chiesa va leggendo gli avvenimenti mentre si svolgono nel corso della storia. 

Essa cerca così di guidare gli uomini a rispondere, anche con l'ausilio de la riflessione razionale e delle scienze umane, alla loro vocazione di costruttori responsabili della società terrena» 
(SRS I)

I cristiani sono costruttori responsabili - cioè liberi e consapevoli - della società terrena insiema a tutti gli altri uomini ; ma a differenza degli altri hanno in se stessi una forza soprannaturale che li muove al bene comune , la forza della Carità. Essa è il fondamento dell'etica del cristiano. La Dottrina sociale della Chiesa è un fondamentale riferimento etico per l'impegno politico e sociale dei cristiani.

I cristiani chiamati alla formazione politica e sociale.

Certo, sappiamo che il nostro sguardo è rivolto primariamente al Regno dei cieli; ma Cristo ha pure detto che il suo Regno inizia da qui e matura nel tempo. La Chiesa si deve preoccupare di ritornare alla Casa del Padre, ma questa è raggiunta attraverso le scelte che si operano nella storia.

Qualunque cosa facciate, fatela di cuore, come per il Signore (Col 3,23); Qualunque cosa possiate dire o fare, tutto si compia nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre (Col 3,17).

Come si vede, anche la società umana con tutti i suoi problemi non è un tema che si debba ritenere così estraneo alla dimensione religiosa cristiana, che non se ne possa parlare all'interno di un discorso sulla Chiesa, che Gesù ha anche paragonato ad "una città posta sul monte" che "non può restare nascosta" (Mt 5, 14).

CUCC III. La dottrina sociale della Chiesa

 2419 “La Rivelazione cristiana ci guida a un approfondimento delle leggi che regolano la vita sociale” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 23]. La Chiesa dal Vangelo riceve la piena rivelazione della verità dell'uomo. Quando compie la sua missione di annunziare il Vangelo, attesta all'uomo, in nome di Cristo, la sua dignità e la sua vocazione alla comunione delle persone; gli insegna le esigenze della giustizia e della pace, conformi alla sapienza divina.

 2420 La Chiesa dà un giudizio morale, in materia economica e sociale, “quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona o dalla salvezza delle anime” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 23]. Per ciò che attiene alla sfera della moralità, essa è investita di una missione distinta da quella delle autorità politiche: la Chiesa si interessa degli aspetti temporali del bene comune in quanto sono ordinati al Bene supremo, nostro ultimo fine. Cerca di inculcare le giuste disposizioni nel rapporto con i beni terreni e nelle relazioni socio-economiche.

 2423 La dottrina sociale della Chiesa propone principi di riflessione; formula criteri di giudizio, offre orientamenti per l'azione:  Ogni sistema secondo cui i rapporti sociali sarebbero completamente determinati dai fattori economici, è contrario alla natura della persona umana e dei suoi atti [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 24].

 2422 L'insegnamento sociale della Chiesa costituisce un corpo dottrinale, che si articola man mano che la Chiesa, alla luce di tutta la parola rivelata da Cristo Gesù, con l'assistenza dello Spirito Santo, interpreta gli avvenimenti nel corso della storia [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 1; 41]. Tale insegnamento diventa tanto più accettabile per gli uomini di buona volontà quanto più profondamente ispira la condotta dei fedeli.

 2421 La dottrina sociale della Chiesa si è sviluppata nel secolo diciannovesimo, all'epoca dell'impatto del Vangelo con la moderna società industriale, le sue nuove strutture per la produzione dei beni di consumo, la sua nuova concezione della società, dello Stato e dell'autortià, le sue nuove forme di lavoro e di proprietà. Lo sviluppo della dottrina della Chiesa, in materia economica e sociale, attesta il valore permanente dell'insegnamento della Chiesa e, ad un tempo, il vero senso della sua Tradizione sempre viva e vitale [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 3].

(*) Il Movimento Cattolico, povero di mezzi e sempre osteggiato dai padroni di turno, ha saputo in altri tempi sottrarsi all'emarginazione in cui tentavano di relegarlo: agli inizi (nei primi decenni del Paese unito), le ideologie politiche che monopolizzavano l'amor di patria e il senso dello Stato; in seguito (in questo secondo dopoguerra), quelle che, in maniera egualmente indebita, si attribuivano l'esclusiva della lotta per la giustizia e per la promozione delle classi più umili.

2424 Una teoria che fa del profitto la regola esclusiva e il fine ultimo dell'attività economica è moralmente inaccettabile. Il desiderio smodato del denaro non manca di produrre i suoi effetti perversi. E' una delle cause dei numerosi conflitti che turbano l'ordine sociale [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 63; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 7; Id. , Lett. enc. Centesimus annus, 35].

 Un sistema che sacrifica “i diritti fondamentali delle singole persone e dei gruppi all'organizzazione collettiva della produzione” è contrario alla dignità dell'uomo [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 65]. Ogni pratica che riduce le persone a non essere altro che puri strumenti in funzione del profitto, asservisce l'uomo, conduce all'idolatria del denaro e contribuisce alla diffusione dell'ateismo. “Non potete servire a Dio e a Mammona” ( Mt 6,24; Lc 16,13 ).

 2425 La Chiesa ha rifiutato le ideologie totalitarie e atee associate, nei tempi mo derni, al “comunismo” o al “socialismo”. Peraltro essa ha pure rifiutato, nella pratica del “capitalismo”, l'individualismo e il primato assoluto della legge del mercato sul lavoro umano [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 10; 13; 44].

La regolazione dell'economia mediante la sola pianificazione centralizzata perverte i legami sociali alla base; la sua regolazione mediante la sola legge del mercato non può attuare la giustizia sociale, perché “esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato” [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 10; 13; 44]. E' necessario favorire una ragionevole regolazione del mercato e delle iniziative economiche, secondo una giusta gerarchia dei valori e in vista del bene comune.

(*) Per quanto confusa e frammentata sia oggi la rappresentanza del cattolicesimo a livello civile, non credo proprio che la presenza e la missione del cristiano nella nostra società abbiano fatto il loro tempo. Se non altro per opporsi all'umanesimo disumanizzante, al razionalismo irrazionale, al libertarismo dissoluto ed oppressivo, che ispirano tanta parte della mentalità odierna.

E sarà possibile farlo riaffermando e attuando i princìpi, sempre insidiati, ma sempre validi, della dignità della persona e del valore della vita, della libertà di vivere e di educare secondo le proprie ideali convinzioni, della rilevanza primaria che deve essere data alla famiglia, della solidarietà con i più deboli, di una reale sussidiarietà per un bene comune che sia davvero il bene di tutti, ecc. 

Sarebbe tragico e molto comico che, nel ritrovare una forma - riconoscibile ed efficace - di presenza nel sociale, siano i cattolici stessi ad autocensurarsi, magari in nome di uno spiritualismo che dimentica l'Incarnazione, riducendo il servizio ecclesiale al mondo ad una pratica privatistica catacombale, ad una ispirazione buona per tutte le salse, illudendosi nel chiamar vittorie le sonore sconfitte, estenuandosi in un dialogo dove l'identità è irriconoscibile ed è morta la missione, coltivando una fede che non genera cultura e le sue opere, quelle che esprimono liberamente tale cultura e spesso ne sono condizione indispensabile. 

Tramite il magistero sociale, la Chiesa è stata e continua ad esser Madre e Maestra delle generazioni che si avvicendano e non soltanto dei suoi fedeli.

"È una precisa e inderogabile responsabilità pastorale della comunità ecclesiale individuare e predisporre luoghi, strumenti, servizi, finalizzati alla formazione della coscienza sociale e politica dei cristiani" (CEI, Nota pastorale "La formazione all'impegno sociale e politico", 14). 

"È tutto l' uomo nella concretezza della sua esistenza quotidiana che è salvato in Cristo. Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta" (Giovanni Paolo II all'Unesco, 13 /1/1980). 

La Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) va innanzitutto considerata proprio come frutto della sua consapevolezza di rappresentare la presenza di una concezione cristiana e cattolica "tradizionale", in aperta dialettica con quella laicista "moderna" e contemporanea.

Con la DSC, la Chiesa si assume il compito di affermare che esiste un modo diverso di considerare la persona umana, la ragione, la famiglia, la società, lo Stato, ecc.. che porta a politiche che umanizzano il mondo in modo integrale.Poiché nella politica si gioca l'intera visione dell'uomo, è ovvio che la Chiesa subisca l'attacco da parte di chi vuole imporre un progetto totalmente estraneo alla sua.

La DSC è il più serio tentativo della presenza missionaria della Chiesa: far incontrare con la fede l'uomo concreto con le sue problematiche storiche, personali e sociali. Se non l'avesse fatto, avrebbe vanificato la fede e tradito l'uomo. 

Pur nel continuo mutamento delle società, la Chiesa non può rinunciare ad essere presente con il suo volto e per esercitarvi la sua missione. La DSC altro non è che uno strumento della sempre "nuova evangelizzazione", che mira a far si che ogni uomo possa trovare in Cristo la propria verità e salvezza.

Alla "nuova creatura" nata dall'incontro con Cristo è dato anche un nuovo orizzonte di conoscenza e di azione, entro il quale potrà dare soluzione anche ai suoi problemi sociali; non senza una seria elaborazione culturale e in costante corretto dialogo con ogni uomo di buona volontà.

(*) Credits : santaritalatina.it. incontri storia della chiesa 


L'insegnamento sociale della Chiesa Cattolica

«La sollecitudine sociale della Chiesa, finalizzata ad un autentico sviluppo dell'uomo e della società, che rispetti e promuova la persona umana in tutte le sue dimensioni, si è sempre espressa nei modi più svariati»

"il cristianesimo ha una sua fortissima specificità nell' annunciare l' unità del genere umano e quindi l' appartenenza ad un' unica comunità umana". 
Per questo  la dottrina sociale della Chiesa "può contribuire a superare lo stallo nella contrapposizione tra liberalismo e comunitarismo". 
Da qui l' obiettivo affidato alle associazioni cristiane di "formare ad una partecipazione locale-universale, particolare-universale". 



Mons. Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace

Pertanto, cominciando dal validissimo apporto di Leone XIII arricchito dai successivi contributi magisteriali, si è ormai costituito un aggiornato corpus dottrinale, che si articola man mano che la Chiesa va leggendo gli avvenimenti mentre si svolgono nel corso della storia. 
Essa cerca così di guidare gli uomini a rispondere, anche con l'ausilio de la riflessione razionale e delle scienze umane, alla loro vocazione di costruttori responsabili della società terrena»

(Sollicitudo rei socialis, I)

Di solito si intende per "dottrina sociale della Chiesa" l'insegnamento specifico che i papi hanno emanato in materia di etica economica, sociale e politica dal 1891, l'anno della Rerum novarum, ad oggi. In realtà, tale insegnamento può essere fatto risalire a epoche anteriori, si esprime anche attraverso documenti che non sono encicliche (per es. documenti di sinodi, di conferenze episcopali, ecc.), e deve molto al contributo di economisti, politici, filosofi e teologi (è noto che le encicliche sono firmate dai papi, ma essi si avvalgono della collaborazione di specialisti, soprattutto per la redazione di quelle parti che richiedono una competenza scientifica).
Le encicliche e altri documenti sono atti del magistero ordinario e quindi, per i credenti cattolici, contengono interpretazioni e orientamenti autorevoli che non possono essere disattesi. Tuttavia non comportano una adesione di fede, perché non si tratta qui di pronunciamenti dogmatici, né i papi intendono impegnare la propria infallibilità in materie come queste, talmente soggette all'incessante evoluzione della società e della storia.Inoltre, attraverso questo insegnamento sociale l'autorità ecclesiastica non dà e non pretende di dare alcuna soluzione tecnica a determinati problemi di tipo economico, sindacale, monetario, amministrativo, politico. Non rientra evidentemente nelle competenze della Chiesa optare, per esempio, per un sistema economico e proibirne un altro (anche se di fatto, storicamente, essa si trova ad essere "complice" di un sistema piuttosto che di un altro). Il suo, invece, vuol essere ed è di fatto, un approccio e un orientamento di tipo etico. L'ottica da cui vede e interpreta le cose è quella dell'uomo illuminato dalla parola di Dio, sapendo tuttavia che dalla parola di Dio non si può ricavare direttamente alcun modello di economia o di politica.

Che l'insegnamento sociale della Chiesa non sia definito una volta per tutte lo dimostrano i modi diversi con cui il magistero si è espresso negli ultimi centocinquant'anni. Si possono individuare tre distinti periodi":

1) Con la pubblicazione della Rerum novarum nel 1891, la Chiesa decide finalmente di uscire dall'isolamento nel quale si era trincerata fin dall'alba dell'epoca moderna, combattendo la libertà di pensiero e di coscienza, la laicità dello Stato moderno, il progresso scientifico e tecnico. Due documenti in particolare avevano sancito il divorzio della Chiesa dalla società moderna: l'enciclica Mirati vos (1832) di Gregorio XVI, che si scaglia contro la libertà di coscienza e la libertà di stampa, e il Sillabo (1864) o elenco degli 80 principali "errori dell'epoca" condannati da Pio IX. Tra questi "errori" si annovera la libertà di ricerca scientifica e filosofica, l'autonomia della politica e dello Stato dalla tutela della Chiesa, il superamento del cattolicesimo come religione di Stato. La Rerum novarum abbandona questo spirito di crociata e riconosce la gravità della questione operaia, anche se poi la risposta alle attese reali della gente non viene cercata a partire dalla lettura dei fenomeni sociali, ma dedotta ancora da principi filosofico-teologici, in particolare dal diritto naturale e dalla rivelazione.

2) Con Pio XI (1922-39) il pensiero sociale della Chiesa entra in una seconda fase, caratterizzata dalla nostalgia di veder rinascere nella società laicizzata il modello sociale della "cristianità"la Chiesa - "società perfetta", come allora si continuava a dire ha il diritto-dovere di guidare tutte le società civili. In economia, l'enciclica Quadragesimo anno (1931) cerca di legittimare la "terza via", quella cattolica, come superamento della "via socialista" (applicata in Russia dal 1917) e della "via capitalistica" (che era entrata allora in crisi con il crollo della Borsa di New York e la grande depressione del 1929).

3) L'ultimo trentennio - con la dottrina del concilio Vaticano II e con i numerosi e qualificati interventi dei papi di questo periodo - si caratterizza per la volontà della Chiesa di ristabilire un dialogo con il mondo. Segna una svolta nel discorso sociale della Chiesa, perché ora non si tratta più di soli conflitti tra classi sociali (come nell'Ottocento), né solo di confronti tra sistemi economici nazionali (prima metà del Novecento), ma si tratta dell'intero ordine economico mondiale, polarizzato prima dalle tensioni politiche tra i due blocchi Ovest e Est e poi dalle tensioni economiche tra Nord e Sud, fattore tuttora permanente di squilibri insanabili. In queste nuove situazioni, la Chiesa preferisce non porsi più in alternativa al mondo, ma ridiventare "sale e lievito nella massa" del mondo, per salvarlo dall'interno delle sue leggi e della sua storia, lasciando però al mondo la sua giusta autonomia nei campi di sua competenza (laicità), anzi aiutando le società civili e i governi a promuovere garanzie per la difesa dei diritti umani, di tutto l'uomo, per tutti gli uomini.

Visto in prospettiva storica, l'insegnamento sociale cristiano presenta due caratteristiche: il cambiamento, in quanto si fa attento alle mutevoli condizioni storiche e sociali e al diverso metodo scelto per leggere la realtà; la continuità, in quanto sempre identica è l'ispirazione evangelica di base e l'intenzione pastorale dei pontefici, e persino costanti rimangono certi temi preferenziali.

Alcune costanti dell'insegnamento sociale della Chiesa

Volendo cogliere il leit motiv che attraversa tutte le encicliche sociali, è facile individuarlo in alcuni principi fermi, che sono:
- la persona umana ha una dignità che non deve essere offesa per nessun motivo: la dignità del lavoratore è più preziosa del prodotto del suo lavoro;
- la proprietà privata ha una funzione sociale e deve comunque conciliarsi con la destinazione universale dei beni materiali crea ti per tutti;
- i principi di giustizia, di uguaglianza e di responsabilità vanno applicati a tutti i protagonisti e operatori dell'attività economica;
- il diritto al lavoro - che ha la sua normale contropartita nel dovere di lavorare - è uno dei diritti fondamentali dell'uomo;
- il diritto del lavoratore ad associarsi sindacalmente va difeso e promosso come uno dei dispositivi di mediazione capaci di garantire la correttezza dei rapporti tra impresa e lavoratori;
- il ruolo dei poteri pubblici in materia economica e sociale è quello di determinare il quadro giuridico delle attività lavorative, di tutelare le classi più esposte allo sfruttamento economico, di controllare le fonti energetiche e i grandi mezzi di produzione.


150 ANNI DI DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA

Pio IX, Qui pluribus, 9.12.1846
L'enciclica si occupa dei principali errori dell'epoca: filosofia illuministica, progressismo, massoneria.
Pio IX, Quanta cura, 8.12.1864
Anche questa enciclica si scaglia contro gli errori del tempo. Viene allegata una raccolta (denominata Síllabo) di 80 proposizioni già condannate in precedenza dallo stesso Pio IX.
Leone XIII, Inscrutabili Dei consílio, 21.4.1878
Confuta l'accusa rivolta alla Chiesa di essere un ostacolo al progresso e alla cultura moderna. Esalta il secolare ruolo civilizzatore della Chiesa nell'eliminare la schiavitù e la miseria dei popoli, e nel favorire le arti e le scienze. La Chiesa è «madre di civiltà».
Leone XIII, Díuturnum, 29.6.1881
Ha per tema l'autorità politica, minacciata dallo spirito di ribellione e dal terrorismo serpeggiante (nel marzo 1881 veniva assassinato l'imperatore di Russia, Alessandro II). La tesi del papa: ogni potere, compreso quello politico, viene da Dio: « Nessun uomo ha in sé o da sé il potere di legare la libera volontà dei suoi simili».

Leone XIII, Rerum novarum, 15.5.1891
E' la prima vera magna charta del pensiero sociale della Chiesa. E' stato riferimento obbligato, in materia di lavoro e di economia, per tutto il secolo XX. Al centro sta la drammatica situazione operaia creatasi nei decenni della prima rivoluzione industriale. L'enciclica denuncia l'inefficace e ingiusta soluzione socialista sulla proprietà privata ; analizza i fondamenti della soluzione cristiana alla questione sociale  e indica qual è il ruolo specifico dello Stato in materia;propone la dignità della persona umana quale criterio base per orientare l'azione politica e legislativa; illustra e incoraggia la funzione del sindacato e dell'associazionismo operaio cristiano.
Pio XI, Quadragesimo anno, 15.5.1931
A 40 anni dalla Rerum novarum, papa Ratti ricorda i frutti copiosi prodotti da quel "memorabile documento" ( la Rerum Novarum di Leone XIII) nell'azione della Chiesa, degli Stati, dei datori di lavoro e dei lavoratori; ricorda le competenze della Chiesa nel dare direttive in materia di diritto di proprietà, di rapporti tra capitale e lavoro, di giusta retribuzione salariale e di ripristino dell'ordine sociale; detta le linee fondamentali di un nuovo ordinamento sociale, basate su unaesplicita condanna del sistema capitalista, su un'auspicata evoluzione del socialismo moderato, e su un rinnovato impegno dei cattolici a «riformare la società nella giustizia e nella carità cristiana».
Pio XI, Mít brennender Sorge, 14.3.1937
Esplicita presa di posizione contro il nazismo hitleriano e contro l'assolutismo dello Stato totalitario.
Pio XI, Dívíni Redemptoris, 19.3.1937
Analizza e confuta il comunismo ateo instauratosi nella Russia bolscevica e Paesi satelliti, ma anche in Messico e in Spagna. L'argomentazione è in cinque tappe: l'atteggiamento della Chiesa di fronte al comunismo; insostenibilità della dottrina comunista (è contro lo spirito, la libertà, i diritti naturali); trasparenza della dottrina sociale della Chiesa (è per la dignità di ogni uomo, per una famiglia stabile, per uno Stato equanime, per un lavoro dignitoso); necessità e mezzi per lottare solidarmente contro il comunismo; cosa possono fare sacerdoti e laici (Azione cattolica) per opporsi al comunismo e promuovere il bene comune.
Pio XII, Radiomessaggio per il 50' anniversario della Rerum novarum, 1.6.1941
Ribadisce vigorosamente la competenza della Chiesa in campo sociale per gli aspetti antropologico-etici, competenza che si fonda sia nelle verità della rivelazione biblica che nell'oggettivo rapporto con la legge naturale. Illustra in particolare tre valori sociali: l'uso dei beni materiali, il lavoro umano come diritto personale, la famiglia come nucleo primario.
Giovanni XXIII, Mater et magístra, 15.5.1961
La questione sociale assume un'altra dimensione: la mondializzazione. E la nuova ottica nell'enciclica, che è anche la prima indirizzata « a tutti gli uomini di buona volontà ». Ripercorso il tumultuoso cammino compiuto dalla società nei 70 anni dalla Rerum novarum, il documento passa a sviluppare alcuni aspetti relativamente nuovi della questione sociale: il principio di sussidiarietà in economia; la rilevanza della "socialità" diffusa; la correlazione tra salario e bene comune; la professionalità dei lavoratori; i limiti del principio della proprietà privata (ii). Prende poi in esame, tra i grandi fenomeni di squilibrio, quello tra agricoltura e altri sistemi produttivi, quello tra zone ricche e zone povere, quello tra Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo (m), e conclude con una fitta serie di orientamenti per l'azione dei cristiani in ambito sociale e culturale.
Giovanni XXIII, Pacem ín terrís, 11.4.1963
 E' il principale documento ecclesiale in tema di diritti umani. Precede una definizione ed elencazione dei diritti e dei doveri degli esseri umani nell'epoca odierna. Il nostro tempo, secondo la Pacem in terris, è caratterizzato da tre fenomeni: la promozione delle classi lavoratrici; l'ingresso della donna nella vita pubblica; e la trasformazione sociopolitica dell'umanità. Segue una dettagliata trattazione: a) dei rapporti tra persone e poteri pubblici, con un'eccezionale digressione sul concetto di "bene comune" e sul rapporto pubblico/privato; b) dei rapporti delle comunità politiche tra loro; c) dei rapporti tra persone e gruppi politici con la comunità mondiale. A conclusione, l'indicazione di impulsi a largo raggio per un impegno senza frontiere nel costruire la pace.
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 7.12.1965
Si tratta di una delle 4 costituzioni, della "pastorale", nell'insieme dei 16 documenti conciliari. Ha per oggetto "la Chiesa nel mondo contemporaneo" ' l'una e l'altro intesi come realtà in dialogo e non in reciproca esclusione. QUESTO documento  tratta dell'uomo, della sua attività, della società e dei grandi rivolgimenti odierni, più in termini di analisi culturale globale che in termini tecnici di economia e di politica. I nodi scelti come problematici sono: matrimonio e famiglia; l'evoluzione etico-culturale; i conflitti tra classi sociali; la comunità politica; la pace internazionale.
Paolo VI, Populorum progressio, 26.3.1967
Lo sviluppo dei popoli è il nuovo nome della pace ».Intorno a questo fortunato slogan Paolo VI conduce una duplice analisi: la prima sullo sviluppo integrale dell'uomo storico e la cause sociali che oggi lo ostacolano; la seconda sullo sviluppo solidale dell' umanità e le condizioni per garantirlo. Una convinzione sta alla base:« Il mondo è malato. Il suo male risiede soprattutto nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, e nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli ».
Assemblea dei vescovi latino-americani, Documento di Medellin, Colombia 1968
Aperta da Paolo VI, l'assemblea trattò il tema 1a Chiesa nella attuale trasformazione dell'America latina". Le idee-guida: prender coscienza dei nuovi orientamenti del Vaticano Il; predisporne l'adattamento ai bisogni del continente sudamericano; prendere una chiara «opzione prioritaria a favore dei poveri e dei giovani »; sostenere l'avvio delle comunità ecclesiali di base.
Paolo VI, Octogesima adveniens, 14.5.1971
A 80 anni dalla Rerum novarum, questa lettera apostolica riconosce che «è difficile pronunciare una parola unica e proporre una soluzione di valore universale » di fronte a situazioni nuove e tanto diverse. Sono nuovi e diversi da continente a continente certi problemi sociali come l'urbanesimo, la condizione giovanile, il posto sociale della donna, i "nuovi poveri", l'esplosione demografica, il potere dei mass media, il degrado ecologico. Insidiose le correnti di idee che cercano di assoggettare la libertà, come il positivismo, il marxismo, il liberalismo e in genere tutte le ideologie che manipolano l'opinione pubblica. Compito dei cristiani è darsi anzitutto dei criteri di giudizio e di comportamento in ambito politico ed economico e agire di conseguenza cambiando mentalità e verificando le strutture di ingiustizia.
Sinodo dei vescovi, La gíustízia nel mondo, 30.11.1971
Si tratta di un forte richiamo a fare della ricerca della giustizia una dimensione costitutiva dell'essere credente. Il documento analizza cause ed effetti delle ingiustizie a livello mondiale; precisa la missione della Chiesa in questo campo; traccia le condizioni per agire efficacemente per un mondo più giusto.
Pontificia Commissione "justitia et pax", La Chiesa e i diritti dell'uomo, 10. 12.1974
Nel 251 anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948) da parte dell'ONU, il documento fa un bilancio storico e dottrinale del cammino dei diritti umani nella storia passata e recente, e offre stimoli pastorali, educativi, ecumenici, per promuovere e difendere i diritti delle persone e dei popoli a livello nazionale e internazionale.
Assemblea dei vescovi latino-americani, Documento di Puebla, Messico 1979
Aperta da Giovanni Paolo II, questa assemblea ebbe come tema Ia evangelizzazione nel presente e nel futuro dell'America latina". Le idee-guida: sulla scia di Medellín, confermò la scelta per una Chiesa povera a favore dei poveri; fece ampio spazio al problema della religiosità popolare da accogliere nei suoi aspetti positivi e da evangelizzare; volgarizzò il concetto di comunione-partecipazíone.
Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 4.3.1979
L'enciclica sviluppa una visione globale dell'azione della Chiesa a favore dell'uomo, definito «prima via della Chiesa». Tale visione si basa su una marcata antropologia teologica (l'uomo è pensato all'interno del progetto creativo e redentivo di Dio).
Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 14.9.1981
Questo documento pontificio si colloca nella grande linea delle encicliche sociali, nel preparare il centesimo anniversario della Rerum novarum. Temi centrali: il lavoro e l'uomo lavoratore; il conflitto tra lavoro e capitale; la promozione della donna nel lavoro; la dignità del lavoro agricolo; lavoro e handicap; lavoro ed emigrazione. Elementi per una teologia del lavoro: l'uomo che lavora partecipa all'opera del Creatore e completa l'opera redentrice di Cristo risorto.
Congregazione per la dottrina della fede, Libertà cristiana e liberazione, 22.3.1986
Mentre i primi 4 capitoli dell'istruzione vertono sulla concezione cristiana della libertà (la condizione della libertà nel mondo d'oggi; vocazione alla libertà e dramma del peccato; liberazione e libertà cristiana; missione liberatrice della Chiesa), il quinto capitolo è tutto dedicato alla dottrina sociale della Chiesa:denuncia ogni forma di violazione dei diritti umani; rifiuta il ricorso alla violenza, in particolare la lotta di classe; propugna la vita pacifica delle riforme contro la tentazione del "mito della rivoluzione".
  Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 30.12.1987
A vent'anni dalla Populorum progressio di Papa Paolo VI, di cui sottolinea la permanente attualità, l'enciclica evidenzia il crescente divario tra Nord e Sud del mondo, ne analizza le cause, propone il valore della solidarietà come prioritario. Spiega perché la Chiesa è critica nei confronti del capitalismo liberísta come del marxismo colIettivista ma non è nemmeno per una ipotetica "terza via" di mezzo. Torna sulle piaghe del mondo d'oggi, in particolare il consumismo negatore della dignità spirituale dell'uomo-persona.
Giovanni Paolo II Centesímus annus, 1.5.1991
L'occasione è data dal centenario della enciclica leoniana; in realtà l'attenzione si concentra sugli eventi del 1989 , sul crollo dei regimi collettivisti dell'Est europeo, le cui cause sono identificate nella violazione dei diritti umani, nell'inefficienza del sistema economico, nel vuoto di cultura atea e disumanizzante. Tra le idee base: «la proprietà senza la solidarietà è un abuso »; « la Chiesa non ha modelli [socioeconomici, politici] da proporre », ma è contro i sistemi che riducono l'uomo a produttore-consumatore, che privilegiano l'avere sull'essere, che non tutelano la vita.


La dottrina sociale della Chiesa -excursus storico- I

 Poco più di 20 anni fa - l'argomento sarebbe risultato quasi improponibile. È sempre più facile oggi incontrare profeti di allora, che ammettono di essere caduti in errore, quando davano per certa l'irreversibilità della secolarizzazione. Proprio a partire dalla loro interpretazione secolarista, essi chiedevano a gran voce di mandare al macero (adesso si dice "rottamare"), con quasi tutta la morale , tutte le Encicliche sociali; convinti com'erano che fossero espressione di una Chiesa dimentica di essere "piccolo gregge", "pugno di lievito", "seme nascosto"; convinti com'erano che non ci fosse una concezione dell'uomo (si dice "antropologia") ispirata dalla fede e che suonasse integralista l'affermazione conciliare che solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo (Gaudium et spes, n. 22). 

San Paolo non era di questo avviso, quando scriveva: Qualunque cosa facciate, fatela di cuore, come per il Signore (Col 3,23); Qualunque cosa possiate dire o fare, tutto si compia nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre (Col 3,17). Come si vede, anche la società umana con tutti i suoi problemi non è un tema che si debba ritenere così estraneo alla dimensione religiosa cristiana, che non se ne possa parlare all'interno di un discorso sulla Chiesa, che Gesù ha anche paragonato ad "una città posta sul monte" che "non può restare nascosta" (Mt 5, 14). Se ci può confortare, anche più di cent'anni fa, quando Leone XIII pubblicò l'enciclica "sulla condizione operaia", molti - anche tra i cattolici - si meravigliarono dell'intervento del Papa. E lui, con molta chiarezza, scriveva: Affrontiamo con fiducia questo argomento e con pieno nostro diritto (Rerum novarum, 13).

PREMESSA 

1. La Chiesa non poteva che opporsi alla concezione "moderna" dell'uomo e al totalitarismo che ne conseguiva. Si è documentato nella Storia della Chiesa come alla cultura e alla politica del secolo scorso fosse sottesa una concezione dell'uomo, del suo rapporto con la realtà e quindi di strutturazione della società, che non prevedeva alcun riferimento al trascendente. In tale concezione mondana, la ragione finisce per concentrare nello Stato totalitario i valori più alti (religiosi, morali, culturali, civili), con i drammatici esiti che ne sono logicamente seguiti (dal regime marxista-leninista in Unione Sovietica, al fascismo in Italia, al nazismo in Germania, ai governi dittatoriali in molti altri Paesi, soprattutto ex-coloniali). È ovvio che un tale progetto culturale, sociale e politico, sostanzialmente ateistico, consideri la Chiesa come nemica, all'opposizione. E la Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) va innanzitutto considerata proprio come frutto della sua consapevolezza di rappresentare la presenza di una concezione cristiana e cattolica "tradizionale", in aperta dialettica con quella laicista "moderna" e contemporanea. Con la DSC, la Chiesa si assume il compito di affermare che esiste un modo diverso di considerare la persona umana, la ragione, la famiglia, la società, lo Stato, ecc.. La Chiesa, infatti, ha il compito di affermare con chiarezza e sostenere con forza quella visione dell'uomo e della realtà, che è attestata da una tradizione di fede due volte millenaria e si radica addirittura nella Rivelazione divina in Cristo. Poiché nella politica si gioca l'intera visione dell'uomo, è ovvio che la Chiesa subisca l'attacco da parte di chi vuole imporre un progetto totalmente estraneo alla sua. La DSC è il più serio tentativo della presenza missionaria della Chiesa: far incontrare con la fede l'uomo concreto con le sue problematiche storiche, personali e sociali. Se non l'avesse fatto, avrebbe vanificato la fede e tradito l'uomo. 

2. Indole non ideologica e caratteristiche originali della Dottrina sociale della Chiesa 
a) La DSC attinge senz'altro dalla S. Scrittura, "utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona" (2 Tim 3,16). Essa è da valorizzare in ogni elaborazione teologica, dottrinale o morale che sia (cfr Dei Verbum 24; Optatam totius, 16). Non perché nella Bibbia si debba trovare una sorta di "catechismo sociale", cioè un insegnamento organico sull'economia e sulla società di ogni epoca e situazione. Ma nel senso che - trovando la storia della salvezza contenuta nella Bibbia la sua unità di senso e di verità in Cristo, rivelazione di Dio e dell'uomo - la Tradizione vivente della Chiesa può trovare nella Parola scritta decisivi insegnamenti riguardanti la persona umana e la sua irrinunciabile dimensione sociale. Pur tenendo conto dei diversi contesti socio-culturali nei quali si sono venuti a trovare il popolo dell'Antica Alleanza, Gesù e la Comunità primitiva, il teologo morale trova nella Legge, nella Profezia e nella Sapienza, contenute nella Parola rivelata e nella Tradizione ecclesiale, molti punti acquisiti e qualificanti il Magistero Sociale della Chiesa. Ad esempio: la sacralità di ogni persona come immagine e somiglianza di Dio, la sua natura sociale, la carità come legge nuova del discepolo che perfeziona la giustizia; la esigenza di spazi adeguati per vivere liberamente la propria sequela di Cristo anche con tutti i fratelli della comunità ecclesiale; la dignità e i significati del lavoro, la destinazione universale dei beni e il diritto di proprietà; il primato del Regno di Dio nei confronti di ogni realtà o istituzione terrena, la reale possibilità alla Chiesa di svolgere la sua missione dando a Dio quel che è di Dio, ecc.. 

b) La pertinenza e la necessità della DSC si radicano nella specifica missione evangelizzatrice della Chiesa e costituisce strumento e parte integrante della "nuova evangelizzazione". La DSC appartiene infatti all'ambito della teologia morale, ricevendo la sua originale identità dalla Rivelazione stessa e assumendo da questa peculiare disciplina teologica fonti e metodo. I principi di riflessione, le direttive d'azione, i criteri di giudizi contenuti nella DSC non appartengono dunque al campo ideologico delle elaborazioni, teorie o sistemi socio-politici; e non forniscono soluzioni tecniche ai problemi sociali di ogni tempo e luogo. Essa consiste nella accurata formulazione dei risultati di una attenta riflessione sulle complesse realtà dell' esistenza dell' uomo e della società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o la difformità con le linee dell' insegnamento del Vangelo sull' uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente: per orientare, quindi, il suo comportamento cristiano (Giovanni Paolo II, Sollecitudo rei socialis, 41)
 Si capisce allora come la DSC si è sviluppata con il succedersi degli avvenimenti storici. In senso ampio, essa era già contenuta nell'insegnamento apostolico e senz'altro in quello dei Padri della Chiesa e dei teologi medioevali. Per sua natura poi, essa realizza la sua efficacia storica, nella misura in cui tutta la comunità ecclesiale diviene responsabile testimone della rilevanza sociale dell'Evangelo. Tale insegnamento diventa tanto più accettabile per gli uomini di buona volontà quanto più profondamente ispira la condotta dei fedeli (Catechismo della Dottrina Cattolica, 2422). 
Anche in questo campo, infatti, è accertata convinzione della Chiesa che la "natura" e la "grazia",la "ragione" e la "fede" non si contrappongono, ma si esigono, si illuminano e si rafforzano a vicenda.

 1. I GRANDI MOMENTI NEI QUALI LA DSC SI SVILUPPA 

Quella che, in senso stretto, chiamiamo "Dottrina sociale della Chiesa" si è venuta costituendo in varie tappe, che si è soliti far partire dalla Rerum novarum di Leone XIII (1891) e terminare alla Centesimus annus di Giovanni Paolo II (1991), che dell'enciclica leonina offre a sua volta un'autorevole sintesi (cfr nn 4-11). Un più rigoroso criterio storico riconoscerebbe già nella Mirari vos (1832) di Gregorio XVI (1831-1846) il primo tentativo di individuare il progetto culturale ateistico dal quale la Chiesa deve difendere se stessa e i popoli; e si fermerebbe fondamentalmente alla Laborem exercens di Giovanni Paolo II (1981). Non è possibile qui che tracciare le grandi linee dello sviluppo seguito dai numerosi insegnamenti e orientamenti, che hanno quasi sempre preso lo spunto da anniversari significativi della Rerum novarum o dalle nuove situazioni in cui si è venuta a trovare la società di questo ultimo secolo. In tale Magistero sociale è facile sorprendere una chiara e puntuale denuncia e critica delle specifiche ideologie moderne che si oppongono alla visione cristiana dell'uomo, della società e della storia; con esse la Chiesa non è mai scesa a compromessi dottrinali e da esse ha sempre voluto difendere anche la libertà e i diritti di ogni uomo e popolo. Tale anche dura opposizione è stata spesso pagata con sofferenze personali di papi, vescovi, sacerdoti e laici; ma ha avuto l'innegabile merito di dare senso al confronto dialogico, visto che la Chiesa non ha mai nascosto il proprio volto, costringendo così l'interlocutore a svelare il proprio. Nello stesso tempo, nel Magistero sociale si va precisando una ipotesi costruttiva di una società a misura di uomo, il cui autentico fondamento resta il rapporto con Dio in Cristo. Infatti, solo nel mistero del Verbo incarnato è svelato e si attua il mistero di ogni uomo (cfr. Gaudium et spes, 22) e un mondo costruito senza Dio è costruito contro l'uomo (card. H. De Lubac). Purtroppo non è agevole disporre dei testi di tale ininterrotto Magistero sociale. 
È possibile trovarli in R. Spiazzi, I documenti sociali della Chiesa, 2° voll, Massimo, Milano 1988. Un'antologia, da Gregorio XVI a Paolo VI compreso, si trova in L. Negri, Il Magistero sociale della Chiesa, Jaca Book, Milano 1994. Più agevole trovare i testi conciliari e i singoli documenti di Giovanni Paolo II. 

A - PIO IX (1846-1878) denuncia i principali errori dell'epoca.

 A papa Giovanni Mastai Ferretti toccò l'enorme responsabilità e merito di prendere le distanze dall'ideologia che stava omologando l'Europa, affermando quella diversità che resta la prima condizione per un dialogo degno del nome. Per questo subì l'emarginazione da parte della mentalità laicista, non senza il velato consenso di un certo cattolicesimo "progressista", non ancora del tutto scomparso (se è vero che la sua causa di beatificazione è ferma agli anni '50). 
a) Quanta cura (1864) Si era appena conclusa la vicenda dello Stato Unitario (1864) e si era alla vigilia dell'espropriazione dello Stato Pontificio (1870). L'enciclica evidenzia l'inconciliabilità radicale tra cattolicesimo e laicismo. 
b) Sillabo (o Elenco) In appendice alla stessa enciclica si elencano i singoli errori, in diverse forme precedentemente condannati: si va dai fondamentali princìpi metafisici, alle dinamiche socio-culturali, alle conseguenze politiche. Riportiamo qualcuna delle 80 proposizioni condannate, riguardanti: * la ragione, intesa come l'unica fonte di conoscenza e di giudizio morale, in opposizione alla rivelazione divina; la fede diviene inutile e dannosa, per un uomo la cui natura non ha più alcun bisogno di Cristo Salvatore. "L' umana ragione, senza tener alcun conto di Dio, è l' unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male, è legge a se stessa, e con le sue forze naturali basta a procacciare il bene degli uomini e dei popoli" (n. 3). "La fede in Cristo si oppone alla ragione umana, e la rivelazione divina non solo non giova a nulla, ma nuoce altresì al perfezionamento dell' uomo" (n.6). (cf. anche n. 40)
 * l'assolutismo dello Stato (nn 19-38), che al soggetto storico della Chiesa - con una sua cultura, morale, missionarietà - non lascia spazio alcuno; così come non riconosce diritti alla legge di Dio o alla coscienza personale. Altro che separazione tra Chiesa e Stato, in Italia e in Europa! "Lo Stato come origine e fonte di tutti i diritti, gode di un diritto che non ammette confini" (n. 39). 
* il compromesso con l'ideologia dominante, rifiutando il quale provocò il falso scandalo nell'area laicista, che lo bollò di intransigenza oscurantista nel rifiutare ogni "dialogo" con la modernità, per restare prigioniero di nostalgie da Ancien Régime. "Il Romano Pontefice può e deve col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà venire a patti e conciliazione" (n. 80). 

B - LEONE XIII (1878-1903) e l'originalità della posizione cristiana

Il suo determinate magistero sociale investe i problemi cruciali della persona (la libertà) e della società (stato e lavoro), e si propone di rispondervi positivamente ma in modo diverso da quello ispirato al liberalismo o al socialismo (utopico o scientifico). I suoi interventi fanno tesoro di molti pionieri, che dalla metà del 1800 avevano dato vita non soltanto ad una intensa attività caritativa-assistenziale, ma anche a varie iniziative di riforma sociale e a convegni di studio (come i Congressi di Liegi e di Angers, l'Unione di Friburgo, ecc.). Molte di più seguirono per l'impulso dato dal suo insegnamento; tra le più significative e coraggiose il cosiddetto Movimento Cattolico in Italia, in Germania, nel Sud della Francia, nel Belgio. 
a) Libertas (1888), dono di Dio cui l'uomo sceglie di appartenere.
Arricchito dall'elaborazione teologica approntata per il Concilio Vaticano I (1869- 1870) e dalla rivalutazione della dottrina tomista nella sua enciclica Aeterni Patris (1879), Papa Gioacchino Pecci riconduce genialmente la fondamentale questione della libertà all'interno della concezione tradizionale e cristiana dell'uomo. Cosa che farà anche più recentemente la Veritatis splendor di Giovanni Paolo II (1993). Non si può formulare correttamente la nozione di libertà e indicare i criteri del buon uso da farsene, a prescindere dalla "verità" della concezione ultima della persona. Nella concezione laicista, la propria ragione è tutto e la libertà non ha altri riferimenti al di fuori di essa: così la libertà rischia di nascere ridotta a istintività, diviene pura licenza e oppressione di sé e degli altri. Nella concezione cristiana, la libertà è dono di Dio, perché l'uomo ne usi assumendosi la corresponsabilità di realizzare compiutamente la verità del suo essere, creato a immagine e somiglianza di Dio. 
Il merito speculativo e teologico dell'enciclica di Leone XIII sta nell'aver messo a fuoco un concetto di libertà non più in termini di arbitraria autoaffermazione tendenzialmente anarcoide, ma nei termini consapevoli e drammaticamente scelti di gioiosa obbedienza alla verità di sé e di Dio, cui l'uomo appartiene. 
b) Immortale Dei (1885), sulla costituzione cristiana degli Stati. Quella dello Stato era la questione più drammatica del tempo. Prima ancora che il pensiero laicista formuli il concetto di "Stato etico" - unico definitore dei valori e detentore dei mezzi per realizzarli - , il papa nega che lo Stato sia un soggetto. 
La presenza della Chiesa nella società civile impedisce all'autorità statale di pretendersi assoluta: "l'unica ragione del potere di chi governa è la tutela del bene sociale" (n. 2). La società naturale è l'insieme articolato di soggettività diverse: prima fra tutte la persona; in secondo luogo la famiglia, "società domestica" (n. 7). 
Lo Stato è al loro sevizio. La misura della democraticità di uno Stato è data dalla sua capacità di servizio alle varie soggettività che costituiscono la società; e non dalla legittima trasmissione del potere o dal funzionamento delle sue complesse procedure. La distinzione e l'armonia della realtà ecclesiale e della realtà socio-politica serve al bene comune dei popoli e su di essa è basata una corretta laicità dello Stato (nn. 6 e 9). 
La concezione cristiana degli Stati non è confessionale: in essi la fede non è necessaria in tutti e tantomeno viene imposta dallo Stato. Certo, anche la politica non deve smarrire la sua dimensione religiosa e deve conservare la sua destinazione sociale. Chiesa e Stato, con distinte funzioni, mirano al bene dell'uomo: la prima lo educa al senso della sua persona, il secondo gli offre gli strumenti per realizzarla (nn. 8 e 9), sempre mantenendosi entrambi al servizio della libertà effettiva della persona e dei popoli (n. 17). Varie possono essere le forme di governo (n. 16), nefasti gli effetti delle politiche anticristiane (n. 11) e dello Stato praticamente ateo (n. 12). La presenza della Chiesa nella società civile passa attraverso il concorde impegno culturale, sociale e politico dei laici cattolici, insieme liberi e responsabili (nn. 20 e 21). 
c) Rerum novarum (1891), sulla questione operaia. È il documento nel quale è maggiormente affermato un progetto sociale vero e proprio, a partire da una concezione religiosa dell'esistenza. Viene qui delineata una trama di valori e di ideali normativi, sui quali verrà poi a costituirsi l'intero edificio della "dottrina sociale". Lo spunto è dato dalle disumane condizioni dei prestatori d'opera, causate dallo scontro capitale-lavoro, che il processo di industrializzazione ha esasperato. La Chiesa non propone una terza via, spuria e sempre ideologica, capace di riconciliare il meglio del capitalismo di marca liberale e il meglio del collettivismo di marca socialista. La Chiesa infrange quel meccanicismo ideologico che considera l'uomo unicamente sotto il profilo economico e politico, riducendolo a capitalista o proletario, in perenne contrasto con l'avversario di classe, dominante la società o dominato da essa. Entro un modello di società organico e armonico, la Chiesa propone quell'originale alternativa che è la carità, virtù sociale per eccellenza, la quale, perfezionando la giustizia, deve presiedere ad ogni tipo di rapporto sociale. La Chiesa non indica soluzioni già fatte ai problemi emergenti, ma propone criteri di soluzione rispettosi dei princìpi di diritto naturale, che deriva da Dio e che precede le leggi puramente economiche e statali, le quali devono sempre rispettare e promuovere la persona. Tra questi princìpi: 
>il primato della persona umana e della famiglia nei confronti dello Stato; 
>la legittimità della proprietà privata, fondata sulla dignità della persona e frutto del suo lavoro, garanzia della sua libertà; 
>il giusto salario, per sostenere anche la propria famiglia. 

Conclude con l'invito a praticare l'associazionismo, la concordia tra le classi, la collaborazione operaia e imprenditoriale, il sindacato. 

C - DOPO LEONE XIII: sviluppo e applicazioni

Il Magistero sociale dei papi succeduti a Leone XIII farà costante riferimento al suo, lo precisa e lo aggiorna a fronte delle nuove situazioni in cui la società si viene a trovare. Si evidenziano più che mai le due linee di sviluppo: quella negativa di denuncia e di condanna, in nome degli inviolabili diritti dell'uomo, a lui conferiti da una natura creata da Dio; quella positiva, come contributo cattolico alla costruzione di una società a misura di uomo libero, dove lo Stato resta al servizio delle società intermedie che l'uomo liberamente promuove (famiglia, associazioni varie, popolo). 
a) BENEDETTO XV (1914-1922), contro la guerra, per una pace giusta. Il pontificato di Giacomo della Chiesa è praticamente caratterizzato dalla prima Grande Guerra (1915-1918). La sua è una ininterrotta denuncia dei più drammatici effetti, procurati dal trionfo di quella real politik che sacrifica il vero bene dei popoli ai nazionalismi e agli assolutismi di Stato.
Fin dal primo messaggio (8-9-1914), Benedetto XV chiama la guerra "spettacolo mostruoso", "flagello dell'ira di Dio", al di là di ogni teoria sulla guerra giusta e di ogni nazionalismo avvallato dalla religione. Nella prima enciclica Ad beatissimi (1-11-1914) la chiama "spettacolo atroce e doloroso" e "tremendo fantasma". Nella nota del 1-8-1917 ai capi dei popoli belligeranti, la chiamerà inutile strage. Questi appelli e la intensa attività diplomatica vennero disattesi. Le forze laiciste lo esclusero dalle trattative di pace e dalla Società delle Nazioni, ma nell'ultima enciclica Pacem Dei munus (1920) chiederà ancora che, "i popoli reintegrino tra loro l'unione e l'amicizia". Fu lui ad introdurre nelle litanie lauretane l'invocazione "Regina della pace". 
b) PIO XI (1922-1939). La "grande depressione" seguita alla crisi di Wall Street (1929) produce livelli di disoccupazione mai visti; sorgono regimi totalitari di diversa matrice, ma tutti oppressori delle potenzialità e attività della persona, dominata da uno Stato che estende il proprio dominio - impostato in chiave antireligiosa - anche oltre i propri confini.  Papa Achille Ratti afferma che dalla famiglia e dalla scuola senza Dio sono derivati disordine e l'odio sociale che hanno portato alla guerra. Gli insegnamenti di Cristo e della Chiesa offrono un contributo fondamentale alla vita sociale.
* Il Concordato (1929) fra la s. Sede e il Regime Fascista. Questo semplice strumento di dialogo operativo con l'interlocutore del momento, lo Stato fascista, mira ad ottenere il massimo di libertà possibile alla missione della Chiesa, a partire da quella educativa.
 * Divini illius Magistri (1929), sulla famiglia come soggetto fondamentale della vita sociale, detentrice primaria dei diritti alla educazione dei figli. 
* Quadragesimo anno (1931), radicare l'ordine sociale nella giustizia e nella carità. A 40 anni dalla Rerum Novarum, il papa aggiunge che l'individuo e i gruppi intermedi devono essere riconosciuti e tutelati dall'autorità civile, che deve intervenire solo là dove l'iniziativa privata si manifesti insufficiente in ordine ai propri fini o al bene comune (principio di sussidiarietà, n. 80). 
Per la soluzione della ancora drammatica questione sociale, propone a sua volta rappresentanze stabili di operai e imprenditori appartenenti allo stesso ramo produttivo (corporazioni). 
* Condanna dei totalitarismi, nuovi idoli. - Non abbiamo bisogno (1931), in difesa dell'apostolato di Azione Cattolica dai soprusi del fascismo. - Mit brennender Sorge ("Con ardente sollecitudine", 1937), sulla Chiesa Cattolica nel Reich germanico, e la violazione, di fatto, del Concordato del 1933. - Divini Redemptoris (1937), sul comunismo ateo (intrinsecamente inammissibile e con il quale non si collabora) e sul valore della dottrina sociale cristiana (nn. 25-38). - No es muy conocida ("Non è molto conosciuta", 1937), sulla persecuzione religiosa in Messico. c) PIO XII (1939-1958): fede cristiana per una vera democrazia e il nuovo ordine internazionale . Al lungo pontificato di Eugenio Pacelli, corrispondono la 2 a Guerra mondiale (1940- 1945), la ricostruzione dei paesi sconfitti, l'estendersi della forma democratica, la ricerca di equilibri internazionali (l'ONU è istituita nel 1945) nonostante la "guerra fredda" tra il blocco USA e quello URSS. 
Fin dall'enciclica programmatica Summi Pontificatus (1939), mise in guardia contro le teorie che negavano l'unità della razza umana e contro la deificazione dello Stato, cose che avrebbero condotto all'"ora delle tenebre". Sebbene non scriva alcuna enciclica sociale, nei suoi 19 radiomessaggi natalizi (1939-1957) Pio XII afferma che la "dottrina sociale della Chiesa" - che attinge dal diritto naturale e dalla rivelazione cristiana (Natale 1941 e enciclica Humani generis, 1950) - contribuisce in modo determinante alla costruzione di una società solidarista: nella quale, cioè, l'apporto dei singoli, dei gruppi, dei ceti, costruisce il bene comune; in.66 tale reale democrazia, la persona è inequivocabilmente riconosciuta come "soggetto, fondamento e fine" (Natale 1944). Subito dopo la caduta del Nazismo, organizzazioni e personalità rappresentative ebraiche riconobbero varie volte la saggezza della diplomazia di Pio XII a proposito del "silenzio" sull'Olocausto (cfr. "Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah", 1998). 

D - GIOVANNI XXIII E IL CONCILIO VATICANO II: la Chiesa, Madre e Maestra dei popoli

Il breve pontificato di Angelo Roncalli e gli interventi conciliari ricercano l'ideale sociale con metodo e contenuti relativamente diversi dal magistero precedente. Non si parte più tanto dai princìpi (metafisici ed etici, naturali e soprannaturali), quanto dal rilevare la complessità delle situazioni, per dare un giudizio alla luce dei criteri di fede e così orientare l'agire del credente nel sociale (cfr. Mater et Magistra, n. 246). Tale metodo meno deduttivo è esposto però al rischio di sottomettere il giudizio di fede alla mentalità del mondo, rendendo l'evento cristiano subalterno al progetto ateistico, nel cui interno la Chiesa - spenta la missione - si limita a richiedere spazi di pura sopravvivenza e di contributo etico. Una posizione questa già disapprovata nel "modernismo" (Pio X, Pascendi dominici gregis, 1907). 

a) GIOVANNI XXIII (1958-1963): la Chiesa, solidale pedagoga di ogni uomo. La "questione sociale" è ormai dilatata a dimensioni mondiali, sorge il neo-colonialismo ad opera dei paesi industrializzati, a detrimento dei paesi in via di sviluppo. 
* Mater et Magistra (1961) anche nei tempi nuovi. A 70 anni dalla Rerum Novarum, l'enciclica riassume tutto il magistero precedente (nn. 11-54), ne precisa gli sviluppi (nn. 55-127), evidenzia gli aspetti nuovi (nn.128- 220) e ribadisce l'insegnamento della Chiesa come base unica e permanente per risolvere il problema sociale (nn. 221-270). 
* Pacem in terris (1963) nell'ordine stabilito da Dio. A causa soprattutto della crisi di Cuba, i rapporti internazionali sono in forte tensione, con il pericolo di guerra nucleare. L'enciclica precisa l'ordine dei rapporti nella umana convivenza (nn. 3-18), con i poteri pubblici (nn. 19-31), tra comunità politiche (nn. 32-42) e con la comunità mondiale (nn. 43-49). Ed esorta i cattolici all'impegno, con ogni uomo di buona volontà, a costruire la pace vera e duratura sui capisaldi della verità, giustizia, solidarietà e libertà. 

b) IL CONCILIO: identità e missione. 
* Gaudium et spes (1965): essere Chiesa per servire il mondo. Nella 1 a parte (nn. 1-45) la costituzione pastorale del Concilio precisa i rapporti Chiesa-mondo: la storia è unica e in essa la Chiesa, solidale con l'uomo, è chiamata profeticamente a collaborare, affinché ogni realtà e rapporto umano si compia in Cristo (n. 22). Nella 2 a parte analizza i 5 grandi problemi urgenti: l'ambito familiare, culturale, economico, politico, internazionale (nn. 46-90). 
* Dignitatis humanae (1965), sulla libertà religiosa. La dichiarazione conciliare ribadisce la dignità dell'uomo e dei suoi diritti, alla cui base è il diritto alla libertà religiosa, che la società civile deve tutelare per il singolo e la comunità..67 
* Nostra aetate (1965), su la Chiesa e le religioni non cristiane. La dichiarazione conciliare esecra "qualsiasi discriminazione o persecuzione per motivi di razza e di colore, di condizione sociale o di religione" (n. 5); valorizza ogni religione - soprattutto l'ebraismo (n. 4) - dando i criteri di un corretto dialogo, senza smarrire identità e missione.


La dottrina sociale della Chiesa -excursus storico- II

E - PAOLO VI (1963-1978), con il metodo del discernimento.

Nel difficile clima post-conciliare, intra ed extra-ecclesiale, Papa Giovanni Battista Montini chiede alla Chiesa l'atteggiamento fondamentale del dialogo entro e fuori la comunità ecclesiale. (cfr l'enciclica programmatica, Ecclesiam suam, 1964). Due gli insuperati interventi in materia sociale. 
a) Populorum progressio (1967), sullo sviluppo dei popoli. L'enciclica pone necessariamente progresso e sviluppo economico-sociale a livello planetario: lo sviluppo dei popoli è il nuovo nome della pace; la pace è la convivenza fra uomini liberi; "è un umanesimo plenario che occorre promuovere,.cioè lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini" (n. 42). 
b) Octogesima adveniens (1971), nell' 80° della Rerum Novarum. La lettera apostolica impegna i cristiani nel nuovo contesto (caratterizzato dalla complessità e dalla fragmentazione, dai mass-media e dall'ecologia), seguendo un metodo più attento alla pluralità: analizzare la situazione del proprio paese; illuminarla alla luce dell'immutabile Vangelo; attingere dall'insegnamento sociale della Chiesa princìpi, criteri di giudizio, direttive di azione; individuare - insieme con altri vescovi del paese, cristiani, uomini di buona volontà - le scelte e gli impegni. 

Il nuovo pensiero sociale cristiano

Con Paolo VI (papa dal 1963 al 1978) che avviene una svolta della posizione cattolica in materia sociale. Nella sua enciclica Populorum progressio (1967) ribadisce che «lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, vòlto cioè alla promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo» (n. 14). Ciò comporta l'adozione di una nuova scala di valori capace di orientare positivamente il progetto di crescita personale e sociale, una scala di valori che chiede la conversione di tutti, dei ricchi come dei poveri, perché «la stessa avarizia può contagiare i meno abbienti come i più ricchi e suscitare negli uní e negli altri uno stesso materialismo soffocatore» (n. 18). Di qui l'ipotesi, ventilata in sordina dal papa, di una legittima insurrezione rivoluzionaria per rovesciare situazioni di intollerabile ingiustizia, laddove non esistessero altri mezzi per recuperare un vivere degno dell'uomo (n. 3 1).

Paolo VI pone così le basi del nuovo pensiero sociale su tre pilastri che sono le direzioni stesse su cui ha camminato la riflessione sociale della Chiesa nell'ultimo trentennio:
la critica del materialismo collettivista: « Per una sorta di nemesi storica, il massimo grado di alienazione si riscontrava proprio nelle società nate con l'intento di diffondere e distribuire! la ricchezza»`;
la critica dell'opulenza egoistica, che plasma un uomo tanto ricco materialmente quanto spiritualmente impoverito. L'opulenza si rivela doppiamente alienante: «All'esterno, perché fondata su una disuguale distribuzione della ricchezza che genera emarginazione e abbandono dei più deboli. In interiore homine, perché potenzia in ciascuno la cupidigia dell'avere ma erode l'intimità dell'essere»"
la dimensione planetaria della questione sociale: rapporto Nord/Sud, maggioranze e minoranze etniche, impatto delle religioni mondiali sulle società, impotenza delle politiche ecologiche, neocolonialismi riaffioranti, andamento squilibrato della demografia: altrettanti problemi che metteranno a dura prova la riflessione etica della Chiesa all'alba del suo terzo millennio.

 Il principio di solidarietà

La solidarietà è una esigenza sociale naturale. Anche dal punto di vista fisico e biologico l'uomo è fortemente interdipendente. Ma è soprattutto il bisogno spirituale di essere riconosciuto, di comunicare, di amare e di sentirsi amato che è congenito all'uomo. Questo bisogno dev' essere soddisfatto attraverso relazioni personali e sociali rispettose della dignità e unicità della persona 
Il termine "solidarietà" è invalso prepotentemente nella cultura attuale, ma in realtà il suo contenuto non è nuovo nella prassi storica. Infatti, nell'ottica dell'insegnamento sociale cristiano, incontriamo almeno tre significati successivi di solidarietà:
in tempo di "cristianità" e fino a tutto il xix secolo, essere solidali per i cristiani voleva dire sostanzialmente amare il prossimo bisognoso con gesti di carità: elemosina, opere di misericordia corporale e spirituale, istituzioni a favore dei poveri, ecc. t la solidarietà come virtù individuale, basata sui buoni sentimenti, come esercizio di altruismo che gratificava la coscienza del benefattore, ma che lasciava intatte le cause della povertà o della miseria, cioè le strutture ingiuste delle varie società succedutesi, come quella feudale, poi quella aristocratica, infine quella industriale;
con l'enciclica Rerum novarum ai cristiani non si addita più solo il dovere individuale della carità-elemosína, ma anche e prima di tutto il dovere della giustizia sociale, da promuovere attraverso condizioni di lavoro più umane, attraverso la partecipazione alle organizzazioni operaie, attraverso la proposta di leggi civili che regolino i rapporti tra capitale e lavoro. Il modo di vivere la solidarietà subisce una svolta radicale e si può riassumere nello slogan: non si può dare per carità quello che deve essere dato per giustizia;
-  un terzo significato della solidarietà viene dalle encicliche sociali di papa Giovanni Paolo II, in particolare dalla Sollicitudo rei socialis (1987), nn. 38-40. Qui la solidarietà è intesa come una nuova coscienza collettiva e un'azione anche politica per un nuovo ordine internazionale: una coscienza in virtù della quale «le nazioni più forti e più dotate devono sentirsi moralmente responsabili delle altre, affinché sia instaurato un vero sistema internazíonale che si regga sul fondamento dell'uguaglíanza di tutti, i popoli e sul necessario rispetto delle loro legittime differenze» (n. 39). Al tramonto del secondo millennio cristiano, i problemi più urgenti sono quelli a dimensione planetaria. Promuovere la pace tra le nazioni e ridurre gli squilibri tra.

La destinazione universale dei beni

Il concetto traduce l'idea che i beni della terra - risorse della natura, manufatti prodotti dall'uomo e capitali - non devono di per sé rimanere nelle mani di pochi proprietari o dello Stato, ma sono destinati al bene comune dell'umanità tutta. Come tale, il concetto sbarra la strada a una interpretazione assoluta o abusivamente estesa del principio della proprietà privata (Centesimus annus, 31-32).
Il concetto di destinazione universale si applica sia ai beni materiali (ricchezza) come a quelli immateriali (diritti). Questi ultimi sono costituiti, tra l'altro, dalle conoscenze tecniche e scientifiche, dai beni della cultura e dell'arte e, più in generale, dalle informazioni. Anche questi sono beni soggetti ad appropriazioni esclusive o abusive. Sono all'origíne di poteri nuovi, perché chi E possiede e soprattutto chi possiede i mezzi per la loro diffusione sociale può sfruttarli abilmente come fonte di nuova ricchezza, di consenso sociale, di prestigio politico.
La destinazione dei beni non riguarda solo l'uomo del presente: siamo in certa parte responsabili anche delle generazioni future. E per un atto di giustizia dovuto a chi verrà domani che non possiamo dilapidare insensatamente ed egoisticamente i beni della natura.


F - GIOVANNI PAOLO II (1978): l'uomo salvato in Cristo, l'uomo "via della Chiesa".

Anche in materia sociale, il magistero di Karol Wojtyla fa costante riferimento alla 1.a enciclica Redemptoris Hominis (1979): Cristo rivela e redime l'uomo in tutte le sue dimensioni, anche sociali; in forza e in vista di Lui, l'uomo diviene la fondamentale "via della Chiesa" (cfr. nn. 13 e 14); ciascun uomo reale, "concreto" e "storico" (Centesimus annus, n. 53). Sul terreno comune dell'uomo e della sua promozione, la Chiesa - consapevole della originale visione dell'uomo in Cristo, Uomo Nuovo - offre all'umanità luce non ideologica e servizio disinteressato. 
a) Laborem exercens (1981), sul senso e il valore del lavoro. Dell'attività lavorativa si precisa il soggetto, che cioè "prima di tutto il lavoro è per l'uomo" (dimensione personale, n. 6); il lavoro è opera di solidarietà (dimensione sociale, nn. 8 e 10); alla luce di Cristo morto e risorto, il lavoro è cooperazione alla creazione e alla redenzione, fonte di benedizione e di sostentamento (dimensione teologica, nn. 25-27).
b) Sollecitudo rei socialis (1987), nel 20° della Populorum progressio. In un mondo diviso tra Nord e Sud, ma anche tra Est e Ovest (nn. 11-26), la Chiesa favorisce l'autentico sviluppo umano evangelizzando anche con l'insegnamento e la diffusione della dottrina sociale, che della nuova evangelizzazione è parte integrante (n. 41). 
c) Centesimus annus (1991), nel 100° della Rerum novarum. L'enciclica rilegge tutto lo sviluppo della DSC, fino alla caduta del marx-leninismo del 1989 (nn. 1-29); tratta della proprietà privata e l'universale destinazione dei beni.68 (nn. 30-43), dello Stato e della cultura (nn. 44-52), dell'uomo via della Chiesa (nn. 53- 62).

VALORI E PRINCIPI PERMANENTI 

Pur nel continuo mutamento delle società, la Chiesa non può rinunciare ad essere presente con il suo volto e per esercitarvi la sua missione. La DSC altro non è che uno strumento della sempre "nuova evangelizzazione", che mira a far si che ogni uomo possa trovare in Cristo la propria verità e salvezza. Alla "nuova creatura" nata dall'incontro con Cristo è dato anche un nuovo orizzonte di conoscenza e di azione, entro il quale potrà dare soluzione anche ai suoi problemi sociali; non senza una seria elaborazione culturale e in costante corretto dialogo con ogni uomo di buona volontà. Nella rigorosa scristianizzazione operata nella società moderna e contemporanea, l'Avvenimento salvifico cristiano è stato sistematicamente sostituito con la concezione dell'uomo che basta a se stesso e che si realizza in un "progetto ateistico" (Centesimus annus , n. 23). 

A tale impostazione antropologica non potevano che opporsi gli interventi del Magistero ecclesiale dell'ultimo secolo. L'hanno fatto con la denuncia e con la proposta; seguendo un metodo più deduttivo o più induttivo, esortando al discernimento e a partire dall'uomo. L'hanno fatto ribadendo punti fondamentali, che costituiscono un "corpus" articolato e organico di tutto rispetto. Li richiamiamo in estrema sintesi. 

a) Priorità della persona sulla società 
La persona umana consiste ed è ben definita solo a partire dal suo rapporto con Dio, al quale è naturalmente aperta e del quale è creata immagine e somiglianza. Creata per se stessa, non può mai essere ridotta a mezzo; ha dignità infinita, è soggetto di diritti inalienabili; deve restare alla radice, al centro e al vertice di ogni forma di socialità. Dall'incontro con Cristo riceve una novità ontologica e un nuovo principio di conoscenza e di azione. Tutto ciò le consente di non essere ridotta a frammento della materia fisica o a numero anonimo di qualsiasi collettivismo. Le situazioni culturali, socio-economiche e politiche, dei diversi tempi e luoghi, poco o tanto la condizionano; ma non la determinano mai del tutto. Con la sua libertà creativa intrattiene relazioni e costruisce una società al suo servizio. Una società e uno Stato sono realmente democratici nella misura in cui riconoscono e si pongono al servizio della libertà di questo tipo di uomo, e innanzitutto della libertà di professare anche comunitariamente la propria religione. 
b) Preminenza della società sullo Stato 
La persona umana per sua natura è anche un essere sociale, data la sua innata indigenza e la sua connaturale tendenza a comunicare con altri. Per la crescita integrale della persona è necessaria la partecipazione e l'integrazione sociale; ma qualsiasi forma di società civile deve restare sempre al servizio della persona. Le persone si esprimono e crescono, dando liberamente origine a diverse forme di società dette "organismi intermedi": famiglia, associazioni e forme di cooperazione educative e lavorative, enti locali, ecc.. Il potere politico, il diritto e le strutture economiche sono al loro servizio e ne integrano le insufficienze in vista del bene comune. Ne deriva che lo Stato liberale non deve confinare nella sfera privata e individuale i valori etici - religiosi - ideali del cittadino; lo Stato totalitario non deve asservire, concentrare, dominare ogni valore ed iniziativa sociale; lo Stato sociale, del benessere, assistenziale, non possono tollerare un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Sul potere come servizio si mediti il lucido saggio di R. Guardini, Il potere, Morcelliana, Brescia 1951. 
c) La Chiesa non è subordinata allo Stato 
La sbandierata formula "Libera Chiesa in libero Stato" è servita di fatto ad intendere la distinzione e la separazione della Chiesa dallo Stato come assorbimento della Chiesa nello Stato. Lo Stato liberale (e ancor più quello totalitario) ha preteso di concedere diritto ad esistere e di normare ogni espressione ed opera esterna e sociale del popolo cristiano. La Chiesa è stata ridotta ad una funzione pedagogica e morale, sempre all'interno dello Stato, come parte integrante di esso, come "strumento del regno". Ciò è avvenuto dai tempi di Machiavelli, della formula "cuius regio, eius et religio", della "Costituzione civile del clero", dei recentemente caduti regimi dell'Est Europeo, ecc.. La Chiesa ha sostenuto la distinzione tra Chiesa e Stato, dai tempi del Decreto di papa Gelasio I (+496) al Concilio Vaticano II. La dimensione religiosa e quella politica non sono realtà omogenee. Quella religiosa appartiene alla libertà di coscienza delle persone; non tocca allo Stato laico stabilire cosa si deve credere o modificare, tanto meno impedire di professare la propria fede. Se ciò avvenisse, il cristiano è tenuto ad obbedire prima a Dio che agli uomini (cfr. At 4, 19). Sostenendo questo la Chiesa ha rappresentato in questo ultimo secolo la più tenace alternativa al totalitarismo di Stato. 

d) I quattro principi permanenti Anche dai tre contenuti sintetici appena esposti, affiorano i capisaldi imprescindibili per comprendere l'originalità della DSC, dal suo sorgere e nel suo svilupparsi. 
Qui ci limitiamo a rimandare ai principali documenti nei quali tali princìpi sono espressamente enunciati.

 * Principio personalista Rerum novarum, 32-39; Pio XII, Radiomessaggio natalizio 1944, 5; Mater et Magistra, 228-229; Pacem in terris, 3.14; Gaudium et spes, 12. 25. 29-31; Centesimus annus, 54-55. 
Principio di sussidiarietà Rerum novarum, 28; Quadragesimo anno, 80-81; Mater et Magistra, 57-62; Pacem in terris, 48; Gaudium et spes, 75; Octogesima adveniens, 25; Familiaris Consortio, 45; Centesimus annus, 10. 15. 48. 
Principio di solidarietà Summi Pontificatus, 15-16; Pacem in terris, 36; Gaudium et spes ,32; Populorum progressio, 43-44. 48. 64-65. 80; Laborem exercens, 8; Sollecitudo rei socialis, 38- 40; Centesimus annus, 10. 15. 41. 43.49..70 * Principio del bene comuneRerum novarum, 26; Quadragesimo anno, 109; Mater et Magistra, 69. 84-85; Pacem in terris, 23-24; Gaudium et spes, 26. 74; Sollecitudo rei socialis, 10; Centesimus annus, 11. 

1° - il principio del primato dell' uomo 
Il primo principio si riferisce all' uomo, al suo primato sulle cose, alla sua inalienabile dignità. L' uomo - come dice sant' Ambrogio - è "il culmine e quasi il compendio dell' universo e la suprema bellezza di ogni creazione" (Esamerone IX, 75). "Credenti e non credenti - nota il Concilio Vaticano II - sono press' a poco concordi nel ritenere che quanto esiste sulla terra deve essere riferito all' uomo, come a suo centro e suo vertice. L' uomo ha ragione di ritenersi superiore a tutte le cose, a motivo della sua intelligenza, con cui partecipa della luce della mente di Dio" (Gaudium et spes ,12.15). Si può ravvisare l' attuazione giuridica di questa persuasione nella Dichiarazione universale dei diritti dell' uomo, approvata dall' Assemblea delle nazioni Unite il 10 dicembre 1948. È ovvio che i diritti degli altri fondano ed esigono i doveri di ciascuno. 
2° - il principio di solidarietà 
L' appartenenza di ogni persona e di ogni legittima aggregazione alla stessa necessaria organizzazione sociale - e in ultima analisi alla stessa famiglia umana - fa sì che non si possa mai consentire che un singolo o una comunità per il gioco dei fattori economici e politici sia privata dei mezzi elementari di decorosa sussistenza. In virtù di questo principio, lo stato potrà e dovrà intervenire a salvaguardare l' uomo nelle sue concrete dimensioni di vita individuale, familiare, associativa, anche correggendo le eventuali deviazioni dei comportamenti e sbloccando i meccanismi inceppati (cf Centesimus annus , 48). In particolare, la difesa del più debole potrà comportare anche qualche limitazione dell' autonomia delle diverse parti in gioco (cf Centesimus annus ,15). Ispirati al principio solidaristico sono, per esempio, alcuni asserti della nostra costituzione laddove si dichiara che bisogna avere un particolare riguardo per le famiglie numerose (art. 31), si garantiscono "cure gratuite agli indigenti" (art. 32), si dice che "ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al sostentamento e all' assistenza sociale" (art. 38)..76 

3° - il principio di sussidiarietà 

1. Fondamento e articolazione
Il principio di sussidiarietà è un criterio anzitutto di carattere antropologico e quindi di organizzazione sociale.
L’uomo, infatti, è un "animale sociale" che tende naturalmente ad incontrare altri uomini, ad associarsi, a dar vita ad una societas; e come tale la società è appunto un insieme ordinato, ossia organizzato, di persone.
Peraltro questo insieme di persone può ordinarsi in diversi modi, e la società può pertanto essere strutturata secondo diversi modelli organizzativi.
D’altra parte la scelta dei principi, dei criteri, attorno ai quali organizzare la società, non può che discendere dalla concezione di fondo della realtà, e quindi della persona umana, da cui si muove.
Il principio di sussidiarietà si propone come uno dei criteri di organizzazione di una società che si ritiene composta da uomini intesi come persone libere, ossia responsabili del proprio destino e in grado di fare scelte di valore per la propria esistenza.
Peraltro nel cammino che ciascuno percorre nell’arco della propria esperienza umana, nello svolgimento delle proprie attività, facilmente si scopre non autosufficiente: per raggiungere i propri obiettivi necessita cioè dell’aiuto altrui, a partire da coloro che gli sono più vicini e via via fino a giungere a coloro che gli sono più distanti.
Lungo il proprio sviluppo fisico e morale, dall’infanzia alla maturità, la persona, crescendo, scopre e incontra naturalmente delle dimensioni sociali quali la famiglia, le amicizie, l’ambito educativo (scolastico e non), le realtà associative di carattere religioso, culturale, ricreativo, le realtà professionali, etc., tutte sinteticamente definibili quali corpi intermedi, i quali vanno a comporre e coincidono con la società stessa, descrivendone il volto ed i confini.
Dette realtà "intermedie" rappresentano gli spazi nei quali la personalità e l’azione del singolo uomo, incontrandosi con quella di altri uomini, possono trovare la propria espressione nell’ambito di una formazione sociale; i luoghi nei quali l’azione del singolo individuo non appartiene più alla sola sfera privata, ma acquista una dimensione e una valenza anche di carattere pubblico.
La società viene così concepita e organizzata secondo tale modello anche a livello politico e istituzionale: l’autorità civile è individuata via via in Comune, Provincia, Regione, Stato, Unione Europea, Comunità internazionale.
In sintesi il modello può essere descritto rappresentando la società come una struttura a cerchi concentrici, nella quale al centro si trova la persona e attorno ad essa di delineano via via sfere sempre più ampie di socialità, le quali muovono dal particolare verso l’universale.
In proposito risulta importante sottolineare che, al fine di porre le condizioni perché trovi effettiva espressione il criterio antropologico e sociale sopra indicato, che del principio di sussidiarietà ne costituisce il suo valore sostanziale, il fatto che una società sia organizzata per "sfere concentriche" è condizione necessaria, ma tuttavia non sufficiente: si intende cioè affermare che la semplice esistenza di una organizzazione sociale così strutturata non è di per sé garanzia di una concreta e sostanziale attuazione del principio di sussidiarietà.
Costituisce infatti elemento fondamentale e qualificante il principio di sussidiarietà il fatto che, all’interno della struttura come sopra descritta, la linea direzionale dell’iniziativa civica muova dal centro (dalla persona) verso la periferia (passando per le realtà sociali più vicine fino a giungere a quelle più distanti) e non mai viceversa.
Se ciò non avviene, paradossalmente proprio una organizzazione sociale così delineata potrebbe risultare facile strumento per un maggiore è più incisivo esercizio del potere dal vertice nei confronti della base; esercizio del potere che risulterebbe agevolato proprio dall’articolazione della società per sfere concentriche, la quale consentirebbe una più capillare azione della autorità politica all’interno della società civile, e conseguentemente la possibilità di un controllo sociale più efficace.
In tal modo, si porrebbero le condizioni per il perseguimento dell’obiettivo opposto a quello a cui invece tende la concezione che propone il principio di sussidiarietà quale criterio per garantire libertà e responsabilità alla società, innescando un pericoloso elemento per una presenza totalizzante dello Stato nella società.
Si pensi, ad esempio, al modello politico organizzativo federale, il quale di per sé si pone logicamente e intuitivamente come il modello che più facilmente potrebbe garantire l’attuazione del principio di sussidiarietà, distribuendo l’esercizio del potere dalle comunità locali più piccole fino alla più ampia statale: la storia, come nel caso della ex Iugoslavia, ha mostrato l’esistenza di un regime sostanzialmente ed ideologicamente totalitario anche in uno Stato organizzato su un modello istituzionale cosiddetto "federale".

2. Definizione e formulazione del principio nel magistero sociale della Chiesa cattolica
L’elaborazione della nozione del principio di sussidiarietà è patrimonio tipico della dottrina sociale della Chiesa e del Magistero cattolico, sebbene, successivamente, esso sia stato (in parte) ripreso anche nell’ambito della dottrina giuridica pubblicistica e, talora, in sede di elaborazione normativa giuridica (Trattato di Maastricht sull’Unione Europea).
La sua formulazione classica è quella contenuta nella enciclica Quadragesimo anno di Pio XI: "È vero certamente che [...] molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche dalle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle".
Conformemente a tale principio il ruolo dello Stato nell’organizzazione sociale viene così indicato da Pio XII: "Quale è, quindi, la vera nozione di Stato se non quella di un organismo morale fondato sull’ordine morale del mondo? Lo Stato non è una onnipotenza oppressiva di ogni legittima autonomia. La sua funzione, la sua magnifica funzione, è piuttosto di favorire, aiutare, promuovere l’intima coalizione, la cooperazione attiva — nel senso di una unità più alta — dei membri che, rispettando la loro subordinazione ai fini dello Stato, cooperano nel miglior modo possibile al bene della comunità, precisamente in quanto conservano e sviluppano il loro carattere particolare e naturale. Né l’individuo né la famiglia devono essere assorbiti dallo Stato".
L’applicazione del principio di sussidiarietà nella sfera economica viene indicata da Giovanni XXIII, il quale, nell’enciclica Mater et magistra, dopo aver ripreso la definizione già contenuta nella Quadragesimo anno sopra riportata, aggiunge: "Ma deve sempre essere riaffermato il principio che la presenza dello Stato in campo economico, anche se ampia e penetrante, non va attuata per ridurre sempre più la sfera di libertà dell’iniziativa personale dei singoli cittadini, ma anzi per garantire a quella sfera la maggiore ampiezza possibile nell’effettiva tutela, per tutti e per ciascuno, dei diritti essenziali della persona; fra i quali è da ritenersi il diritto che le singole persone hanno di essere e di rimanere normalmente le prime responsabili del proprio mantenimento e di quello della propria famiglia; il che implica che nei sistemi economici sia consentito e facilitato il libero svolgimento delle attività produttive".
Numerosi sono i pronunciamenti di Magistero nei quali il principio di sussidiarietà viene declinato come criterio fondamentale per una corretta impostazione dei rapporti tra società e Stato in ambito educativo.
Per tutti si può ricordare la chiara affermazione contenuta nella Familiaris consortio in cui il regnante pontefice ricorda che in virtù del principio di sussidiarietà "lo Stato non può e né deve sottrarre alle famiglie quei compiti che esse possono egualmente svolgere bene da sole o liberamente associate, ma positivamente favorire e sollecitare al massimo l’iniziativa responsabile delle famiglie".
A conferma del fatto che il principio di sussidiarietà non costituisce un elemento accidentale o secondario della dottrina sociale cristiana, ma che, viceversa, esso è un criterio antropologico e di filosofia sociale di centrale importanza, qualificante l’intera concezione dei rapporti fra la persona e la società in cui questa vive ed opera, si rileva la lucida formulazione che di esso è contenuta nella parte del Catechismo della Chiesa Cattolica dedicato alla Comunità umana, ed in particolare al tema La persona e la società"Certe società, quali la famiglia e la comunità civica, sono più immediatamente rispondenti alla natura dell’uomo. Sono a lui necessarie. Al fine di favorire la partecipazione del maggior numero possibile di persone alla vita sociale, si deve incoraggiare la creazione di associazioni e di istituzioni d’elezione "a scopi economici, culturali, sociali, sportivi, ricreativi, professionali, politici, tanto all’interno delle comunità politiche, quanto sul piano mondiale". Tale "socializzazione" esprime parimenti la tendenza naturale che spinge gli esseri umani ad associarsi, al fine di conseguire obiettivi che superano le capacità individuali. Essa sviluppa le doti della persona, in particolare il suo spirito di iniziativa e il suo senso di responsabilità. Concorre a tutelare i suoi diritti.
"La socializzazione presenta anche dei pericoli. Un intervento troppo spinto dello Stato può minacciare la libertà e l’iniziativa personali. La dottrina della Chiesa ha elaborato il principio detto di sussidiarietà. Secondo tale principio una società di ordine superiore non deve interferire, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune".

3. Ruoli e compiti dell’autorità e della società civile
La società organizzata attorno al principio di sussidiarietà attribuisce un preciso ruolo all’autorità pubblica.
In particolare i compiti della autorità politica possono essere così sinteticamente indicati:
° non ostacolare la persona nel libero perseguimento delle proprie aspirazioni e finalità, sia come singolo sia in quanto associato ad altri uomini; anzi, possibilmente, agevolarla;
° garantire le condizioni affinché l’esercizio autonomo delle attività da parte della società non resti una mera affermazione di principio, ma risulti concretamente possibile, a tal fine promuovendo attivamente l’azione dei singoli e delle formazioni sociali, attraverso l’adozione di norme e provvedimenti mirati al loro sostegno giuridico ed economico.
L’autorità politica ricopre pertanto un preciso ruolo di subsidium, ossia di "aiuto" alla società, da cui il termine sussidiarietà.
Lo Stato non svolge direttamente ed esclusivamente i compiti e le attività che possono e devono essere prerogativa della società civile; non si sostituisce ad essa, ma si limita a porre le premesse, le condizioni, affinché la società compia attività sociali autonomamente.
L’intervento statale non deve peraltro essere completamente escluso, bensì ricondotto entro i limiti e i confini dei compiti che gli sono propri.
L’azione dello Stato è definita dal suo ruolo suppletivo: lo Stato deve cioè intervenire solo nel caso in cui la realtà politico-sociale di livello immediatamente inferiore non possa o non riesca a svolgere fino in fondo il proprio ruolo, assolvendo compiutamente ai suoi compiti esclusivamente con le proprie forze.
La misura dell’intervento statale (l’ubi e il quantum) è quindi indicato dalla necessità dell’intervento medesimo: laddove esso non siaindispensabile, esso deve ritenersi illegittimo.
Nello schema così delineato il compito principale dello Stato è quello di assicurare il coordinamento delle varie attività svolte dalla società civile, allo scopo di ricondurle ad un fine generale e unitario (superiore rispetto al fine particolare che caratterizza ciascuna diversa iniziativa singolarmente considerata): la conservazione, la promozione e l’incremento del Bene comune della società intera.
Lo Stato può altresì presentarsi alla società come un soggetto che, al pari e sul medesimo piano dei soggetti "privati", propone un’attività socialmente rilevante, purché ciò avvenga alle medesime condizioni e con gli stessi limiti e regole validi per i singoli cittadini, ossia come "attore fra gli attori" e non come l’unico attore della scena sociale, politica ed economica.
Condizione essenziale per una corretta comprensione ed attuazione del principio di sussidiarietà è la definizione del ruolo tipico che deve far capo alla società civile: sussidiarietà significa riconoscere e dare l’iniziativa alla società prima (e talvolta anziché) allo Stato, e non viceversa.
Non è sussidiarietà lasciare che la società intervenga in ambiti di volontariato, assistenza, caritativa al fine di coprire gli spazi che sono lasciati scoperti dallo Stato.
In tal modo l’intervento della società si presenterebbe come sussidiario rispetto allo Stato, mentre, sulla base del principio di sussidiarietà, i rapporti devono essere impostati nel senso esattamente opposto.
D’altra parte, in quanto la società preesiste rispetto allo Stato, questo deve presupporla rispetto a se stesso: i corpi intermedi non devono pertanto essere creati "dall’alto" da parte dell’autorità statale, bensì riconosciuti, ed eventualmente solo stimolati, nel loro sorgere spontaneo "dal basso".
Risulta così chiara la netta distinzione corrente tra uno Stato impostato sussidiariamente ed uno Stato che attua un semplicedecentramento dal proprio centro alla propria periferia, per mezzo delle proprie articolazioni istituzionali, nell’esercizio del potere normativo e\o amministrativo, la cui titolarità resta comunque esclusivamente in capo allo Stato stesso.
Necessario presupposto per un corretto inquadramento del ruolo della società civile è il preliminare riconoscimento che le attività da essa svolte possano avere un carattere pubblico, e non esclusivamente privato per il solo fatto che non provengono dallo Stato.
Occorre ciò partire dal concetto che pubblico non coincide con statale, riconoscendo che tanto lo Stato quanto la società possono parimenti svolgere attività sia di carattere pubblico che di carattere privato, con ciò tenendo fermo il criterio che tale qualifica potrà risultare, a seconda del tipo di attività svolta, dall’ambito di intervento, dal suo valore sociale, dalla sua ampiezza, dalle sue caratteristiche, dai suoi destinatari, etc., ma non dovrebbe certo essere definita a priori esclusivamente in funzione del soggetto (statale o meno) che mette in campo una certa attività o che presta un determinato servizio.
Quanto sopra indicato viene espresso con estrema chiarezza anche nei documenti del Magistero sociale della Chiesa, nei quali viene efficacemente sgombrato il campo da qualunque eventuale fraintendimento del principio di sussidiarietà in chiave di similitudine o avvicinamento alle tesi tipiche del liberalismo politico e/o del liberismo economico, i quali assegnano allo Stato un ruolo di mero arbitro esterno che, astenendosi da qualunque ruolo attivo, propugna un laissez-faire quanto mai contrario ai doveri che invece debbono incombere responsabilmente sul soggetto dal quale dipendono, in larga misura, le sorti del popolo che da esso è governato. Concezioni che si fondano su basi ideologiche e che, come tali, sono invece estranee al corpus dottrinale della Chiesa.
In tal senso, riprendendo il contenuto della enciclica Rerum Novarum,Pio XI afferma che "Quanto al potere civile, Leone XIII, superando arditamente i limiti segnati dal liberalismo, insegna coraggiosamente che esso non è puramente un guardiano dell’ordine e del diritto, ma deve adoperarsi in modo che "con tutto il complesso delle leggi e delle politiche istituzioni ordinando e amministrando lo Stato, ne risulti naturalmente la pubblica e privata prosperità"".
Come ha recentemente ed efficacemente sintetizzato il card. Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, tra il "lasciar fare" teorizzato dal liberalismo ottocentesco ed il "fare direttamente" proprio di tutti gli statalismi, secondo l’insegnamento della Chiesa, l’ente pubblico deve avere come principio ispiratore del suo comportamento "l’aiutare a fare".

4. Sussidiarietà e solidarietà per una società a misura d’uomo
Si impone, in conclusione, una precisazione, sia di metodo che di contenuto.
Volendo mantenere un approccio al tema metodologicamente corretto e lontano dalle facili schematizzazioni (tipicamente ideologiche) con le quali viene spesso reso assoluto un principio, il quale resta magari valido se ricondotto entro il suo autentico significato e se mantenuto entro i confini del campo di applicazione che gli è proprio, ma che invece produce effetti aberranti se viene assunto quale principio descrittivo dell’intera realtà, e quindi utilizzato come unico criterio in grado di dare risposta ad ogni domanda.
Il principio di sussidiarietà costituisce un valido criterio di organizzazione sociale che deve necessariamente essere associato ad altri criteri, l’insieme dei quali contribuisce a delineare la nozione di bene comune di una società, del suo Stato (ossia del modo di organizzarsi della società secondo l’"abito" — il modello giuridico — che più gli è consono), e del popolo che è governato dall’autorità civile.
In tal senso la Congregazione per la dottrina della fede si esprime auspicando un’armonica formulazione del principio di solidarietàcon il principio di sussidiarietà"In virtù del primo, l’uomo deve contribuire con i suoi simili al bene comune della società, a tutti i livelli. Con ciò, la dottrina sociale della Chiesa si oppone a tutte le forme di individualismo sociale o politico. In virtù del secondo, né lo Stato né alcuna società devono mai sostituirsi all’iniziativa e alla responsabilità delle persone e delle comunità intermedie in quei settori in cui esse possono agire, né distruggere lo spazio necessario alla loro libertà. Con ciò, la dottrina sociale della Chiesa si oppone a tutte le forme di collettivismo".
Una visione realistica e fondata sul senso comune della "solidarietà" mostra infatti che l’intervento solidaristico, di muto soccorso, caritatevole, è oltreché più doveroso anche più efficacemente praticabile anzitutto verso le situazioni di bisogno a noi concettualmente e localmente più vicine, piuttosto che a quelle che, per vari motivi, risultano a noi più distanti; nei confronti di queste ultime è bene infatti che si produca anzitutto l’intervento di chi ad esse si trova (in ogni senso) più attiguo, e poi, eventualmente, e suppletivamente, da parte di altri soggetti.
Il concetto è stato bene espresso da Giovanni Paolo II in questi termini: "Non è possibile aspettarsi dall’uomo un comportamento di solidarietà pienamente sviluppata verso lo Stato e la società internazionale se non è stata nutrita e praticata anche a livello dei gruppi e istituzioni intermedie. Anche questo è un aspetto del principio di sussidiarietà così centrale nell’atteggiamento sociale della Chiesa".
Oggi più che mai nel governo della cosa pubblica, a livello nazionale come a livello locale e tanto più cittadino, occorre un recupero di una dimensione umana dell’esistenza, ossia conforme al fine e alla natura della vita dei cittadini.
Le modalità con le quali la comunità umana, piccola o vasta che sia, è organizzata a livello sociale e politico, nonché la misura del riconoscimento e quindi dello spazio e della rilevanza pubblica che concretamente vengono lasciati all’iniziativa della persona, "sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità" sono il terreno sul quale l’autorità civile si gioca in gran parte le proprie chances di fronte alla società, in termini di esercizio del potere secondo canoni di bene comune, libertà e giustizia.
Promozione dei corpi intermedi, sussidiarietà, solidarietà possono costituire i cardini di una nuova politica per la nostra Regione e per la nostra città: "È urgente ricostruire, a misura della strada, del quartiere o del grande agglomerato, il tessuto sociale in cui l’uomo possa soddisfare le esigenze della sua personalità. Centri di interesse e di cultura devono essere creati o sviluppati a livello di comunità e di parrocchie, in quelle diverse forme di associazione, circoli ricreativi, luoghi di riunione, incontri spirituali comunitari in cui ciascuno, sottraendosi all’isolamento, ricreerà dei rapporti fraterni".


 Il principio della laicità dello stato 

Lo stato è davvero laico quando non impone a nessuno una particolare concezione filosofica, teologica o culturale e quando non identifica il suo ordinamento giuridico con le prescrizioni di una determinata aggregazione. Lo stato moderno non può essere "confessionale" in nessun senso: non in senso religioso (per esempio, cattolico, ebraico, musulmano); non in senso scientistico o materialistico; non in senso laicistico, se per laicismo si intende - come spesso è dato riscontrare - una particolare concezione, immanentisticamente o illuministicamente ispirata, che rifiuta i valori trascendenti o li vuole confinati nel segreto dei cuori. Ovviamente, secondo questo principio, non ci potranno essere "religioni di stato". Questo però non vuol dire che si possa contestare o anche solo ignorare il fatto che il cattolicesimo è la religione storica del popolo italiano e la fonte preponderante della sua identità nazionale. 


I valori della solidarietà tra persone, popoli o Nazioni

a) La solidarietà è reale quando tutti gli uomini si riconoscono come persone e operano a vantaggio gli uni per gli altri.

L'esercizio della solidarietà all'interno di ogni società è valido, quando i suoi componenti si riconoscono tra di loro come persone. Coloro che contano di più, disponendo di una porzione più grande di beni e di servizi comuni, si sentano responsabili dei più deboli e siano disposti a condividere quanto possiedono. I più deboli, da parte loro, nella stessa linea di solidarietà, non adottino un atteggiamento puramente passivo o distruttivo del tessuto sociale, ma, pur rivendicando i loro legittimi diritti, facciano quanto loro spetta per il bene di tutti. I gruppi intermedi, a loro volta, non insistano egoisticamente nel loro particolare interesse, ma rispettino gli interessi degli altri. Segni positivi nel mondo contemporaneo sono la crescente coscienza di solidarietà dei poveri tra di loro, i loro interventi di appoggio reciproco, le manifestazioni pubbliche nella scena sociale, senza far ricorso alla violenza, ma prospettando i propri bisogni e i propri diritti di fronte all'inefficienza o alla corruzione dei pubblici poteri. In virtù del suo impegno evangelico, la Chiesa si sente chiamata a restare accanto alle folle povere, a discernere la giustizia delle loro richieste, a contribuire a soddisfarle, senza perdere di vista il bene dei gruppi nel quadro del bene comune. Lo stesso criterio si applica, per analogia, nelle relazioni internazionali. L'interdipendenza deve trasformarsi in solidarietà, fondata sul principio che i beni della creazione sono destinati a tutti: ciò che l'industria umana produce con la lavorazione delle materie prime, col contributo del lavoro, deve servire egualmente al bene di tutti.

b) La solidarietà deve essere applicata superando le tendenze all'imperialismo e le brame di egemonia.

Superando gli imperialismi di ogni tipo e i propositi di conservare la propria egemonia, le Nazioni più forti e più dotate debbono sentirsi moralmente responsabili delle altre, affinché sia instaurato un vero sistema internazionale, che si regga sul fondamento dell'eguaglianza di tutti i popoli e sul necessario rispetto delle loro legittime differenze. I Paesi economicamente più deboli o rimasti al limite della sopravvivenza, con l'assistenza degli altri popoli e della comunità internazionale, debbono essere messi in grado di dare anch'essi un contributo al bene comune con i loro tesori di umanità e di cultura, che altrimenti andrebbero perduti per sempre. La solidarietà ci aiuta a vedere l'"altro"-persona, popolo o Nazione-non come uno strumento qualsiasi, per sfruttarne a basso costo la capacità di lavoro e la resistenza fisica, abbandonandolo poi quando non serve più ma come un nostro "simile", un "aiuto" (cfr. Gn 2, 18-20), da rendere partecipe, al pari di noi, del banchetto della vita, a cui tutti gli uomini sono egualmente invitati da Dio. Di qui l'importanza di risvegliare la coscienza religiosa degli uomini e dei popoli. Sono così esclusi lo sfruttamento, l'oppressione, l'annientamento degli altri. Questi fatti, nella presente divisione del mondo in blocchi contrapposti, vanno a confluire nel pericolo di guerra e nell'eccessiva preoccupazione per la propria sicurezza a spese non di rado dell'autonomia, della libera decisione, della stessa integrità territoriale delle Nazioni più deboli, che son comprese nelle cosiddette "zone d'influenza" o nelle "cinture di sicurezza". Le "strutture di peccato" e i peccati, che in esse sfociano, si oppongono con altrettanta radicalità alla pace e allo sviluppo, perché lo sviluppo, secondo la nota espressione dell'Enciclica paolina, è "il nuovo nome della pace".Sempre nella stessa enciclica il Papa con profondo realismo richiama gli stessi paesi in via di sviluppo ad una responsabilità e ad una solidarietà.


I valori della solidarietà tra persone, popoli o Nazioni

a) La solidarietà è reale quando tutti gli uomini si riconoscono come persone e operano a vantaggio gli uni per gli altri.

L'esercizio della solidarietà all'interno di ogni società è valido, quando i suoi componenti si riconoscono tra di loro come persone. Coloro che contano di più, disponendo di una porzione più grande di beni e di servizi comuni, si sentano responsabili dei più deboli e siano disposti a condividere quanto possiedono. I più deboli, da parte loro, nella stessa linea di solidarietà, non adottino un atteggiamento puramente passivo o distruttivo del tessuto sociale, ma, pur rivendicando i loro legittimi diritti, facciano quanto loro spetta per il bene di tutti. I gruppi intermedi, a loro volta, non insistano egoisticamente nel loro particolare interesse, ma rispettino gli interessi degli altri. Segni positivi nel mondo contemporaneo sono la crescente coscienza di solidarietà dei poveri tra di loro, i loro interventi di appoggio reciproco, le manifestazioni pubbliche nella scena sociale, senza far ricorso alla violenza, ma prospettando i propri bisogni e i propri diritti di fronte all'inefficienza o alla corruzione dei pubblici poteri. In virtù del suo impegno evangelico, la Chiesa si sente chiamata a restare accanto alle folle povere, a discernere la giustizia delle loro richieste, a contribuire a soddisfarle, senza perdere di vista il bene dei gruppi nel quadro del bene comune. Lo stesso criterio si applica, per analogia, nelle relazioni internazionali. L'interdipendenza deve trasformarsi in solidarietà, fondata sul principio che i beni della creazione sono destinati a tutti: ciò che l'industria umana produce con la lavorazione delle materie prime, col contributo del lavoro, deve servire egualmente al bene di tutti.

b) La solidarietà deve essere applicata superando le tendenze all'imperialismo e le brame di egemonia.

Superando gli imperialismi di ogni tipo e i propositi di conservare la propria egemonia, le Nazioni più forti e più dotate debbono sentirsi moralmente responsabili delle altre, affinché sia instaurato un vero sistema internazionale, che si regga sul fondamento dell'eguaglianza di tutti i popoli e sul necessario rispetto delle loro legittime differenze. I Paesi economicamente più deboli o rimasti al limite della sopravvivenza, con l'assistenza degli altri popoli e della comunità internazionale, debbono essere messi in grado di dare anch'essi un contributo al bene comune con i loro tesori di umanità e di cultura, che altrimenti andrebbero perduti per sempre. La solidarietà ci aiuta a vedere l'"altro"-persona, popolo o Nazione-non come uno strumento qualsiasi, per sfruttarne a basso costo la capacità di lavoro e la resistenza fisica, abbandonandolo poi quando non serve più ma come un nostro "simile", un "aiuto" (cfr. Gn 2, 18-20), da rendere partecipe, al pari di noi, del banchetto della vita, a cui tutti gli uomini sono egualmente invitati da Dio. Di qui l'importanza di risvegliare la coscienza religiosa degli uomini e dei popoli. Sono così esclusi lo sfruttamento, l'oppressione, l'annientamento degli altri. Questi fatti, nella presente divisione del mondo in blocchi contrapposti, vanno a confluire nel pericolo di guerra e nell'eccessiva preoccupazione per la propria sicurezza a spese non di rado dell'autonomia, della libera decisione, della stessa integrità territoriale delle Nazioni più deboli, che son comprese nelle cosiddette "zone d'influenza" o nelle "cinture di sicurezza". Le "strutture di peccato" e i peccati, che in esse sfociano, si oppongono con altrettanta radicalità alla pace e allo sviluppo, perché lo sviluppo, secondo la nota espressione dell'Enciclica paolina, è "il nuovo nome della pace".Sempre nella stessa enciclica il Papa con profondo realismo richiama gli stessi paesi in via di sviluppo ad una responsabilità e ad una solidarietà.


CARITAS IN VERITATE/ I punti saldi della nuova enciclica di Benedetto XVI

 
 

martedì 30 giugno 2009

Ieri, 29 giugno 2009, festa solenne dei santi Pietro e Paolo, Benedetto XVI ha firmato la sua terza enciclica, la prima del suo Magistero sociale. Lo scorso 13 giugno, durante l'udienza concessa ai soci e ai corsisti della Fondazione “Centesimus Annus”, il Papa aveva sostenuto la necessità di ripensare i «paradigmi economico-finanziari dominanti negli ultimi anni». Secondo il Pontefice, proprio «la crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, quelli emergenti e quelli in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economico-finanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni».

Il Pontefice, parlando di economia di mercato, cita un passaggio decisivo della Centesimus annus del 1991, ritenendo che «la libertà nel settore dell'economia deve inquadrarsi in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale, una libertà responsabile il cui centro è etico e religioso». A questo punto del discorso il Papa ricorda ai presenti l'imminente pubblicazione dell'Enciclica dedicata all'economia, al lavoro e allo sviluppo: la Caritas in veritate. L’enciclica sociale sullo sviluppo che nelle intenzioni del Pontefice celebra e aggiorna la Populorum progressio di Paolo VI del 1967. È stata proprio l’enciclica di Paolo VI a insistere, oltre che sull’apprezzamento della cultura e della civiltà tecnica che contribuiscono alla liberazione dell’uomo, anche sul «dovere gravissimo», che incombe sulle Nazioni più sviluppate, di «aiutare i Paesi in via di sviluppo».

Con riferimento all’enciclica firmata ieri, Benedetto XVI ha detto ai soci e ai corsisti della Fondazione “Centesimus Annus”: «Come sapete, verrà prossimamente pubblicata la mia Enciclica dedicata proprio al vasto tema dell'economia e del lavoro: in essa verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale». Nell'occasione, Benedetto XVI cita un passaggio della Centesimus Annus: «Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti».

Mercato, proprietà, impresa, profitto, lavoro assumono un significato cristianamente consistente nella misura in cui il centro è Cristo; Cristo redentore che, rivelando Dio all’uomo, rivela l’uomo all’uomo. Il mercato dunque può assumere i caratteri cristiani della “relazionalità”, la proprietà assume la cifra della “responsabilità”, con il lavoro l’uomo - creato ad immagine e somiglianza del Padre-Creatore - “soggettivamente” partecipa in un certo senso all’“opera creatrice” del Padre-Creatore, l’impresa è la “comunità” di lavoro nella quale sperimenta il suo profondo legame con l’umanità intera e il profitto è uno dei tanti (ma indispensabile) “parametri” per misurare la corretta (responsabile) allocazione dei beni della terra.

Al centro della riflessione della Caritas in veritate troveremo la questione dello sviluppo integrale della persona. Ricordiamo quanto riconosciuto e proposto da Giovanni Paolo II e ripreso dallo stesso Benedetto XVI durante l’udienza del 13 giugno: «Un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia».

Il senso di queste affermazioni, confermate e rafforzate da Benedetto XVI, incontra un caposaldo della tradizione dell’“economia sociale di mercato”: le attività economiche, al pari di qualsiasi altra dimensione dell’agire umano, non si realizzano mai in un vuoto morale o in un mondo virtuale, ma all’interno di un determinato contesto culturale, le cui matrici possono essere riconosciute e apprezzate ovvero trascurate e disprezzate. In questa prospettiva, una sana “economia di mercato”, “economia d’impresa”, “economia libera” - ovvero un capitalismo rettamente inteso - sono sempre limitate da un ordine giuridico che le regola e da istituzioni morali, come ad esempio la famiglia e la pluralità dei corpi intermedi che, nel rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale, interagiscono con esse e le influenzano, essendone esse stesse influenzate.

L’economia di mercato è sempre plasmata dalla cultura nella quale essa vive, e a sua volta, è influenzata dalle azioni e dalle abitudini quotidiane di coloro che la pongono in essere, poiché le azioni dei singoli influenzano la qualità della vita all’interno della società. È questo il “personalismo metodologico” che ha pervaso il Magistero sociale di Wojtyla e che continuerà a plasmare la cura pastorale di Benedetto XVI anche in ambito socio-economico.